Commento al Vangelo
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Domenica 3 maggio, commento di don Renato De Zan

Gesù lo dice a chiare lettere: "Io sono la porta delle pecore". Non servono interpretazioni. Lo ha detto Lui. Chiaro

Parole chiave: Pastore (1), Vangelo (126), De Zan (47), Diocesi (190)
Domenica 3 maggio, commento di don Renato De Zan

Gv 10,1-10

In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti ad esse, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine; ma essi non capirono che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

 

Gesù è l'unica porta che apre alla vita

 

Tematica Liturgica

La “paroimìa” è un’immagine vivace, ricca e veloce con un contenuto molto articolato e non sempre comprensibile immediatamente. In Gv 10,1-18 troviamo una quadruplice scansione. In una prima sezione, prima parte della paroimìa (Gv 10,1-2), infatti, viene presentata la porta come elemento discriminante tra chi è “pastore delle pecore” (entra per la porta) e chi è “ladro e brigante” (vi sale da un’altra parte). In una seconda sezione, seconda parte della paroimìa (Gv 10,3-5), invece, vengono presentate le pecore come elemento discriminante tra chi è il “guardiano” (le pecore lo seguono, conoscono la sua voce) e l’ “estraneo (le pecore non lo seguiranno, non conoscono la voce degli estranei). Seguono nella terza e nella quarta sezione due spiegazioni. Nella prima spiegazione Gesù s’identifica con la porta (Gv 10,7-10). Nella seconda, con il buon pastore (Gv 10,11-18). La Liturgia ha scelto per oggi Gv 10,1-10, evidenziando come Gesù sia la porta delle pecore.

Quando Gesù parla di ladri e briganti, a chi pensa? Geremia imputava al clero la venalità (Ger 6,13; 8,16), l’ignoranza colpevole (Ger 14,18), il governo arbitrario (Ger 5,31), l’idolatria (Ger 8,1-3), l’empietà (Ger 23,11). All’epoca di Gesù ci furono anche diversi falsi messia (cfr At 5,35-37). Gesù, infine, ha avuto parole dure nei confronti dei “maestri” (i teologi di allora): “Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!” (Lc 11,46). Forse aveva in mente questi personaggi che si arrogavano nei confronti della gente un’autorità che non avevano. Ma la comunità nascente perché ha ricordato questa paroimìa? Forse perché non sempre i responsabili della Chiesa nascente erano secondo lo spirito di Gesù. L’autore della prima lettera di Pietro, rivolgendosi ai pastori, ci da una descrizione indiretta un po’ triste: “Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge”. Nessun pastore che manchi di una forte e sincera sintonia con Gesù (che non sia passato attraverso la porta) può essere pastore del gregge di Dio. Gesù, però, non tralascia neppure i fedeli: “Se uno entra (nel mondo di Dio) attraverso di me, sarà salvo”. Pietro riprenderà questo annuncio di Gesù e lo tradurrà così davanti al sinedrio: “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (At 4,12).

 

Dimensione letteraria

Al testo originale del vangelo la Liturgia aggiunge l’incipit “In quel tempo, Gesù…”. Del brano completo (Gv 10,1-19), la Liturgia sceglie solo una parte (Gv 10,1-10): la “similitudine” e la spiegazione di Gesù come porta. C’è un’espressione, “In verità, in verità vi dico” (Gv 10,1.7), che ricorre due volte. All’inizio per introdurre la similitudine e a metà per introdurre la spiegazione. La spiegazione (Gv 10,7-10), a sua volta, presenta Gesù come “porta” per ben due volte (Gv 10,7: “io sono la porta delle pecore”; Gv 10,9: “Io sono la porta”), suddividendo la spiegazione in due momenti: la prima è dedicata all’identità dei pastori, mentre la seconda è dedicata alla possibilità dei fedeli di raggiungere la salvezza, cioè la vita “in abbondanza”.  Tra la similitudine e la spiegazione si colloca lo sconfortato commento dell’evangelista: “Ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro” (Gv 10,6). L’incomprensione caratterizza diversi momenti della vita dei discepoli con Gesù. Essi non compresero subito né l’insegnamento sulla persona del Padre (Gv 8,27), né l’insegnamento di Gesù sulla propria identità (Gv 10,6), né il significato dell’entrata di Gesù a Gerusalemme (Gv 12,16), né il valore del sepolcro vuoto con la sindone afflosciata (Gv 20,9).

 

Riflessione biblico-liturgica

Gesù intende in qualche modo esprimere una “esclusività”. Egli è la misura del pastore per i credenti e nello stesso tempo egli è l’unico salvatore dell’umanità e del mondo. L’esclusività non riguarda solo l’universalità della salvezza (Cristo è salvatore di tutti), ma anche la profondità: l’espressione semitica “entrerà e uscirà” indica ogni momento della vita di una persona, niente escluso.

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