Commento al Vangelo
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Domenica 19 maggio, commento di don Renato De Zan

Pentecoste: il Paraclito, lo Spirito della verità

Domenica 19 maggio, commento di don Renato De Zan

19.05.2024 PENTECOSTE

 

Messa del Giorno: Gv 15,26-27;16,12-15

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «26 Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; 27 e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. 12 Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13 Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14 Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15 Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

 

 

Il  Testo

 

1. Per la solennità della Pentecoste la Liturgia offre due celebrazioni: quella vigiliare (Gv 7,37-39) e quella del giorno (Gv 15,26-27;16,12-15). In queste righe viene esaminato il secondo testo giovanneo. Il brano, come si può facilmente notare è eclogadico: è composto da due brani minori scelti (Gv 15,26-27 + Gv 16,12-15). Questa scelta della Liturgia è stata fatta per mettere in risalto i due titoli teologico dello Spirito Santo: : lo Spirito Santo è il Consolatore (Gv 15,26) e lo Spirito di verità (Gv 16,13). Inoltre, la Liturgia ha posto un incipit che chiarisce al lettore-ascoltatore chi sia il mittente e chi i destinatari: “In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli”

 

2. La formula liturgica del vangelo è facilmente suddivisibile in tre momenti. Il primo (Gv 15,26-27) è caratterizzato dall’espressione iniziale “Quando verrà il Paràclito” (Gv 15,26a). Anche il terzo brano (Gv 16,13-15) possiede la stessa caratteristica: “Quando verrà lui, lo Spirito della verità” (Gv 16,13a). In ambedue i casi segue una espressione che ha come tema la “verità”: “lo Spirito della verità che procede dal Padre” (Gv 15,26c); “vi guiderà a tutta la verità” (Gv 16,13b). Conclude il tema della testimonianza: “egli darà testimonianza di me” (Gv 15,26e); “Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà” (16,14). La successione è un parallelismo sinonimico a tre stadi: a-b-c // a’-b’-c’. Al centro troviamo il testo principale che giustifica il dono dello Spirito: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso” (Gv 16,12). Il quadro strutturale risulta quasi perfetto: A (a-b-c); B (Gv 16,12); A’ (a’-b’-c’)

 

L’Esegesi

 

1. Gesù, nel suo apostolato pubblico aveva detto ai suoi discepoli: “Infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi” (Mt 10,20). Non si deve perciò separare la testimonianza dello Spirito (Gv 15,26) dalla testimonianza dei discepoli (Gv 15,27). S. Agostino, infatti, diceva: “Poiché egli (=lo Spirito) parlerà, anche voi parlerete: egli nei vostri cuori, voi con le parole; egli con l’ispirazione, voi con la voce”. Il primo contenuto della testimonianza è la persona di Gesù e tutto il suo apostolato pubblico (“siete con me fin dal principio”) oltre che il suo mistero pasquale (cf Lc 24,46-48: “E disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni”.

 

2. C’è anche un secondo contenuto: “Vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future”. In questo caso “la verità” è tutto ciò che “Cristo ha detto, è, e ha fatto”. L’annuncio delle cose future non consiste nel dire cose nuove rispetto a quanto già detto da Gesù perché il verbo greco “ananghèllo” significa precisamente “ri-annunciare” (cf l’espressione ripetuta due volte in Gv 16,14.15: “Prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà”).

 

3. Lo scrittore sacro adopera due titoli teologici per identificare lo Spirito Santo. Lo chiama prima “Paraclito” (nome che ricorre solo negli scritti giovannei) e, poi, “Spirito della verità. Nel primo caso l’autore vuole indicare nello Spirito “l’avvocato, il patrocinatore o intercessore”. Si tenga presente che il “primo” Paraclito è Gesù (1Gv 2,1). Lo Spirito è “l’altro” Paraclito (Gv 14,16).Lo “Spirito della verità” è una espressione mutuata dal linguaggio di Qumran e intende esprimere la guida sicura, divina contro ogni spirito di male e di menzogna. Lo Spirito, dunque, guiderà i discepoli a capire “tutto” Gesù Cristo.

 

Il Contesto Liturgico

 

1. Il nome greco “Pentecosté” è il nome dato dai LXX (Settanta, traduttori greci dell’Antico Testamento) per la festa ebraica della mietitura (“qasir”) o, più precisamente, per la festa delle primizie (“bikkurim), chiamata successivamente “festa delle Settimane” perché si celebrava esattamente sette settimane dopo la festa di Pasqua. A Pentecoste gli Ebrei facevano memoria dell’Alleanza del Sinai. Poiché il dono dello Spirito Santo alla comunità cristiana coincise temporalmente con la festa ebraica (At 2,1: “Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste [ebraica]….”), i cristiani chiamarono l’avvenimento salvifico con lo stesso nome della festa ebraica. Ovviamente la festa cristiana ha un valore e un significato del tutto diverso dalla festa ebraica.

 

2. Gesù donò lo Spirito il giorno della sua morte (Gv 19,30: Chinato il capo, “trasmise lo Spirito”) e lo donò ancora il giorno della sua risurrezione (Gv 20,22: “Alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo..»”). Lo Spirito viene ulteriormente donato nel giorno della Pentecoste (1a lettura = At 2,1-11: “Ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo”): lo Spirito è colui che regge la Chiesa con i carismi e i ministeri (2a lettura: 1 Cor 12,3b-7.12-13), perdona i nostri peccati per mezzo degli Apostoli e dei loro successori (Gv 20,22-23), confessa con noi davanti al mondo che Gesù è l’unico Kyrios, l’unico Signore (1 Cor 12,3), invoca per mezzo del nostro spirito l’Abbà che sta nei cieli (Gal 4,6) e unifica i popoli in un’unica confessione di fede cancellando l’errore di Babele (Prefazio del giorno).

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