Domenica 17 febbraio, commento di don Renato De Zan
Il vangelo delle beatitudini: "Venite, benedetti del Padre mio: vostro è il regno"
Lc 6,17.20-26
In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone. Ed egli, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: "Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v’insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti.
Tematica liturgica
Nel mondo biblico, "beato" indica fondamentalmente la persona che ha trovato la via della saggezza nella Parola di Dio. Si legga, per esempio, quanto dice il Sal 1,1-2: "Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli arroganti, ma nella legge del Signore trova la sua gioia, la sua legge medita giorno e notte". "Beato", dunque, nella teologia biblica non significa "felice" nel senso comune della parola odierna, ma equivale a "colui che si affida e si fida della parola di Dio", "destinatario accogliente della salvezza di Dio" e, quindi, "amato da Dio". Quando, perciò, Gesù adopera la parola "beato" va intesa alla luce della cultura ebraica di allora. Gesù, tuttavia va più avanti. Nel suo insegnamento senz’altro sono "beati" coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano (Lc 11,28). Accanto a questa teologia condivisa con l’Antico Testamento, Gesù aggiunge altre categorie. Sono "beati" i servi - simbolo dei discepoli vigilanti - che aspettano svegli il ritorno (escatologico) del padrone, cioè di Gesù (Lc 12,37). Anche gli occhi dei discepoli che vedono ciò che re e profeti avrebbero desiderato vedere e non lo videro (Lc 10,23-24), sono "beati". Ma in modo particolare sono "beati" coloro che vivono determinate situazioni. Secondo la testimonianza di Luca sono "beati" i poveri, coloro che hanno fame, coloro che piangono e i credenti perseguitati (cfr il vangelo, Lc 6,17.20-26). La Liturgia offre una sintesi teologica attraverso il brano di Ger 17,5-8 (prima lettura). Il profeta pone in antitesi l’uomo maledetto con l’uomo benedetto. Il primo confida nell’uomo e allontana il suo cuore dal Signore. Il secondo confida nel Signore perché il Signore è la sua fiducia. Anche Luca nel vangelo odierno pone in antitesi i "beati" (poveri, affamati, piangenti, credenti perseguitati) con le persone destinatari dei "guai" (ricchi, sazi, ridenti, non perseguitati). L’antitesi lucana, tuttavia, non ha lo stesso significato dell’antitesi profetica, anche se la contiene. Gesù, dicendo "guai", non condanna. Nel mondo orientale il "guai" introduce un lamento. È come se Gesù dicesse: "Sono addolorato per queste persone". Certamente il dolore di Gesù è comprensibile perché le motivazione dei "guai" riguardano la futura situazione escatologica di queste persone. Anche se parzialmente, la parabola del ricco banchettante e del povero Lazzaro (Lc 16,19-31) sintetizza il motivo del dolore di Gesù. Costoro (ricchi, sazi, ridenti, non perseguitati), se non cambiano atteggiamento, come il ricco della parabola non avranno un futuro escatologico di consolazione e felicità.
Dimensione letteraria
Le beatitudini di Matteo e di Luca presentano il messaggio teologico di fondo uguale. Hanno però delle diversità. Matteo pone il discorso delle beatitudine su un monte (Gesù è visto come nuovo Mosè), mentre Luca in pianura (Gesù, nuovo Mosé, si rivolge al popolo del nuovo esodo). La struttura letteraria matteana articola il testo in nove unità (4+4+1), Luca in otto (3+1 in antitesi con 3 +1). Luca, infatti, nel primo gruppo colloca i "beati" e nel secondo i destinatari dei "guai". Mentre Matteo esprime le beatitudini come fossero dei detti sapienziali (beati i poveri…), Luca come fossero parte di un discorso diretto e profetico (beati, voi, poveri), probabilmente rivolto ai componenti della sua comunità.
Tra testo biblico e quello biblico-liturgico (Lc 6,17.20-26) ci sono due differenze. La prima riguarda l’incipit (testo biblico: "Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante…"/ testo biblico-liturgico: "In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, i fermò in un luogo pianeggiante…"). La seconda riguarda la soppressione dei versetti Lc 7,18-19, per concentrare l’attenzione sul messaggio ("che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti").
Riflessione biblico-liturgica
a. Le Beatitudini indicano coloro che sono già salvi oggi, per un disegno misterioso di Dio. Costoro avranno il Regno dove non ci saranno più sofferenze.
b. L’ultima beatitudine riguarda la persecuzione dei cristiani perché cristiani ("a causa del Figlio dell’uomo"). Il cristiano, come i veri profeti, è sempre oggetto di rifiuto, di disprezzo e, addirittura, di odio. È però già salvo.
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