Commento al Vangelo
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Domenica 15 dicembre, commento di don Renato De Zan

Il Battista: la sua storia, il suo annuncio, la sua fine. Il cristianesimo è sofferenza e rassegnazione?

Parole chiave: Giovanni Battista (1), Vangelo (126), Domenica (46)
Domenica 15 dicembre, commento di don Renato De Zan

Mt 11,2-11
In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?". Gesù rispose loro: "Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!". Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: "Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: "Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via". In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui".

Tematica liturgica
Ma il cristianesimo non è sofferenza e rassegnazione? Nonostante qualcuno pensi questo, Gesù nell’ultima cena disse: "Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena" (Gv 15,11). Il cristianesimo, che conosce la sofferenza, è però gioia: "Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia … Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena" (Gv 16,20. 24).Oggi, la Liturgia - con l’aiuto di San Paolo - traduce le parole del Maestro nell’antifona di ingresso: "Rallegrativi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino". Questo sorriso con cui si apre la celebrazione continua nella Colletta propria dell’anno A: "Fa’ che…accogliamo con rendimento di grazie il vangelo della gioia". Così ripete la prima lettura (Is 35,1-6a.8a-10): "Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa….felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto". Questo è l’atteggiamento proposto dalla Liturgia per questa domenica. L’atteggiamento interiore richiama quello del fedele ebreo che gioiva nell’attesa del Messia. Allo stesso modo il cristiano gioisce nell’attesa del ritorno di Cristo (Parusia) e nell’attesa di celebrare l’anamnesi (= memoria liturgica che rende presente l’evento della Nascita) della sua prima venuta nella storia (il Natale). La gioia cristiana, dunque, non scaturisce dal fatto che le cose di questo mondo vanno bene, come la pace, l’amore, il lavoro, l’ecologia, la libertà… Molte di queste cose, purtroppo, possono non andare bene, ma il credente sa che può affrontare le contrarietà, contando, oltre che sulle proprie forze, anche sul quel Dio fatto uomo che ha promesso: "Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mat 28,20).. Si tratta della gioia profonda di sapere che nella fatica non si è soli, mai. Dimenticare questa verità di fede significa consegnare l’esistenza a una solitudine amara e al pessimismo.
Per questo motivo la comunità celebrante ha bisogno di rivisitare le sembianze del suo Signore per "ricordarlo" e per "saperlo riconoscere". In questo lavorio interiore, che è insieme spiritualità e celebrazione, le parole del Battista accompagnano l’assemblea. Giovanni battista è colui che nel vangelo di oggi (Mt 11,2-11) vuole far uscire allo scoperto il Messia. La risposta di Gesù è affermativa ma sapienziale (l’uditore o il testimone deve capire!). Dalle opere compiute da Gesù, che adempiono le profezie messianiche, il Battista, i suoi discepoli e la folla possono capire che egli è il Messia di ieri e di sempre.

Dimensione letteraria
Il brano dei discepoli del Battista che interrogano Gesù e la sua testimonianza comprende Mt 11,2-15.
La Liturgia ha accorciato il brano (Mt 11,2-11), tralasciando la parte finale (Mt 11,12-15), che ha come tema l’identificazione di Giovanni Battista con Elia. Questo taglio non naturale permette alla Liturgia di evidenziare come il cristiano - diversamente da Giovanni il Battista - sappia scoprire il Messia attraverso le opere profetizzate da Isaia (Is 26,19; 29,18-19; 35,5-6; 61,1; si tenga presente che Is 35,5-6 costituisce la prima lettura) e compiute da Gesù. Mt 11,2-11, aperto dall’incipit liturgico "In quel tempo", è letterariamente suddivisibile in due parti. In Mt 11,2-7a il brano si apre con una domanda ("Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?") cui segue la risposta di Gesù sulla propria attività che risulta essere l’attività del Messia. In Mt 11,7b-11 la seconda parte si apre con una serie di domande di Gesù su Giovanni Battista cui segue la risposta di Gesù sull’identità del Battista.

Riflessione biblico-liturgica
Gesù chiude il dialogo con i discepoli di Giovanni con una frase emblematica: "E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!". Egli è pienamente consapevole che cambiare prospettiva messianica (dalla concezione del messia guerriero e vittorioso al Messia Servo sofferente) è difficile. Gesù chiama beato colui che ha la capacità di abbandonare gli schemi fissi e scorretti di una teologia "servile" agli interessi politici del momento, per accogliere con purezza interiore il progetto messianico di Dio: la salvezza di tutto l’uomo (miracoli e annuncio).

Domenica 15 dicembre, commento di don Renato De Zan
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