Morire oggi, il dramma si fa tragedia
Il virus ha cambiato anche l’approccio con la morte, oltre ai riti funebri. Tuttavia non mancano i segni di speranza
Il drammatico evento della morte di Gesù, in questo cammino pasquale, che sfocia nella risurrezione, fonte di speranza per tutte le persone di buona volontà, offre alcuni spunti di riflessione, condivisi con alcuni parroci della città. “A volte il dramma diviene tragedia, ma per fortuna ci sono anche gesti di speranza e solidarietà”, confida don Flavio Martin, parroco di San Lorenzo, in Roraigrande, comunità munita di cimitero. Sentito per affrontare il tema dell’ultimo commiato col defunto e il “rito delle esequie”, in questo periodo di pandemia, nel quale il sacerdote non può celebrare il consueto funerale e i cimiteri sono chiusi. E’ stato contattato anche don Gianfranco Furlan, della parrocchia di San Francesco, in Borgo Cappuccini, attigua ad un altro cimitero cittadino, presso il quale anche il vescovo Pellegrini si è recato di recente, per una preghiera a beneficio dei defunti.
Il dramma
La situazione drammatica a volte è legata al fatto che alcune persone, sospette di essere affette dal virus, devono concludere il proprio cammino terreno in ospedale. Benché abbiano ricevuto la “consolazione della fede”, mediante il viatico, con una benedizione e l’unzione degli infermi dal cappellano dell’ospedale, non hanno potuto avere la altrettanto consolante presenza dei figli o dei familiari, che si avvicendassero a turno, per non lasciare sola la persona cara; stringendole la mano, facendole una carezza o sussurrando parole di conforto, d’affetto, di sostegno e calore umano.
In questi ultimi anni erano sempre meno le famiglie che potevano assistere il malato in casa, garantendogli le cure adeguate, dai farmaci ai respiratori per l’ossigeno e l’assistenza con eventuali “strumenti di controllo” - come nelle terapie intensive degli ospedali. Offrendo, nel contempo, la possibilità di scorrere con lo sguardo gli oggetti familiari che lo avevano circondato abitualmente e, soprattutto, i volti delle persone care, con le quali era stato condiviso un tempo di relazioni e di affetti.
Ultimamente invece, sta riprendendo il numero delle persone che concludono il loro cammino in casa: “i familiari che hanno spazio preferiscono tenerli con sé, a meno che non sia strettamente necessario il ricovero”, spiegano i Don.
La Tragedia
La tragedia è vissuta dai familiari quando provano nel profondo del proprio cuore l’angoscia di un abbraccio negato e di non aver potuto essere accanto alla persona cara, costretti a vederla solo di lontano – ad esempio dalla porta del reparto o di casa -, per rispettare le norme di sicurezza previste dalla legge.
E, nel caso dell’ospedale o di altre strutture di accoglienza, si vedono consegnare, in un sacchetto, gli oggetti appartenuti al proprio caro. Si aggiunga quell’inevitabile sentimento, che non si riesce a razionalizzare, del “senso di colpa”, che accresce ed esaspera all’inverosimile l’angoscia.
Altro momento di passaggio dal dramma alla tragedia, si può vivere quando la persona ammalata viene intubata e deve sopportare venti giorni di sofferenze, senza la certezza automatica di un esito positivo.
Per comprendere come di recente si è diffusa questa situazione, basti pensare che, di solito, in un anno, a Roraigrande, venivano celebrati una sessantina di funerali; quest’anno, da gennaio ad oggi, mentre si scrive, ne sono già stati già celebrati 22; di questi, una decina proprio in quest’ultimo periodo. Ovviamente in forma differente nel rispetto delle disposizioni di legge.
Semi di speranza
I germi di speranza si colgono quando i familiari telefonano al sacerdote, per informarlo e chiedere la sua presenza. In quell’occasione manifestano un grande desiderio e disponibilità a parlare, a raccontare, a confidarsi. E’ un bisogno impellente nel loro animo… anche se a volte appaiono arrabbiati col Signore e si chiedono: “Perché proprio a lui – il familiare colpito dal virus – e proprio a noi?”.
Nel rispetto di precise norme di sicurezza, in ogni caso, è possibile organizzare presso la “Casa funeraria” ove la salma viene portata, o in casa, un momento di preghiera. Il rito che don Gianfranco o don Flavio propongono - anche se non è molto esteso nel tempo, come avviene con la tradizionale celebrazione della messa delle esequie, seguita dal rito dell’ultimo commiato -, prevede ugualmente delle preghiere, dei momenti di silenzio e, se possibile, anche il ricordo concreto della persona cara. “Se i familiari hanno piacere, sottolinea don Flavio – che di recente ha celebrato le esequie di una persona morta con il virus – viene data anche a loro la possibilità di pronunciare, con tutta semplicità, delle parole di ricordo e d’affetto, per il proprio caro”. E questi momenti raggiungono livelli di alta vibrazione affettiva. Indovinato si rivela il brano del vangelo che narra delle donne che si recano al sepolcro di buon mattino, e lo trovano vuoto, perché Gesù è risorto (Marco 16,18 e paralleli).
Un altro segno di commovente speranza è avvenuto mentre il carro funebre si recava dalla Casa funeraria al cimitero. Passando nei pressi dell’abitazione del defunto, lungo la via, c’era un gran numero di persone affacciate, non per caso, ma per scelta, mossi dalla volontà di attendere il passaggio della salma, nel carro funebre, per tributargli un ultimo affettuoso saluto.
I familiari infine, sostenuti dalla fede e dal desiderio di sentirsi uniti in un profondo legame spirituale col proprio caro, prenotano, per quando sarà possibile, delle messe di suffragio a beneficio della persona amata.
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