Putin tra sogno e realtà
Vladimir Putin: le azioni di guerra, le dichiarazioni sprezzanti, il mito degli zar
La scorsa settimana – facendo inorridire non poco l’Occidente –la voce inflessibile di Vladimir Putin ha pronunciato parole come lame riguardo l’Ucraina: “Non abbiamo ancora cominciato a fare le cose sul serio”. A quasi cinque mesi dall’inizio dell’invasione e della guerra il presidente della Federazione Russa si dimostra fermo nel non cedere a nessuna trattativa e nel voler anzi perseguire fino in fondo i suoi obiettivi, vantandosi di non soffrire per le sanzioni europee, minacciando il ricorso alle armi nucleari, anticipando tagli del gas, non turbandosi se il blocco del grano ucraino affamerà nazioni povere fino allo stremo, come l’Onu ha denunciato.
Il suo disegno, più volte dallo stesso scritto e annunciato, consiste nell’ambizione di riprendere non solo i confini geografici ma anche la grandezza dell’impero russo, cancellando i pezzi di storia a lui indigesti come gli anni del bolscevismo e ancor più quelli dell’apertura di Gorbaciov che portarono allo scioglimento dell’Urss il 31 dicembre ’91. Lo stemma lo conferma: spariti falce e martello è tornata l’aquila bicefala di Ivan il Terribile e di tutti gli zar.
Cronisti di guerra e scrittori russi che conoscono Putin non si stupiscono dei suoi modi e delle sue parole. Francesca Mannocchi, inviata di guerra in Ucraina, ha ribadito che le sue ultime affermazioni non segnano un’escalation, piuttosto confermano un progetto intrapreso almeno dal 2014 e mai abbandonato pur nelle alterne vicende, perseguito con la tattica lenta e lo sguardo al futuro di chi va costruendo il suo mondo perduto. Ancor prima lo storico Sergio Romano in “Putin e la ricostruzione della grande Russia” (2016), aveva ben pre-visto tutto, compresa l’unità ucraina a rischio. Anche Mattia B. Bagnoli, capo della Delegazione Ansa di Mosca dal 2015, nel tomo “Modello Putin. Viaggio in un paese che faremo bene a conoscere” (marzo 2021, undici mesi prima dell’invasione) aveva descritto il Putin pensiero, le strategie di potere, il business del gas, la mancata libertà di comunicazione. Tutti elementi che lo hanno portato a definire quella russa una “democratura”, ovvero una dittatura solo travestita da democrazia.
Ancor più colgono il ritorno al passato coloro che, a causa delle loro non allineate idee, hanno lasciato il paese. Il russo siberiano Nicolai Lilin, obtorto collo combattente in Cecenia per obbligo militare (come ora sta capitando ai soldati di leva russi mandati in Ucraina), autore di vari romanzi di successo – tra cui “Infanzia siberiana” – nel suo ultimo “Putin. L’ultimo zar. Da San Pietroburgo all’Ucraina”, ne traccia una biografia tra luci e ombre. Scrive: “Putin non ha bisogno di lezioni di storia (…) Il problema è la metamorfosi che avviene nell’animo umano quando si sottopone alla prova del potere. Pochissimi riescono a rimanere uomini (…). La maggioranza coltiva dentro il despota, il tiranno, l’usurpatore. Le persone diventano allora le masse (…), mentre il mondo si trasforma in una grande scacchiera, le guerre e i conflitti sono semplicemente mezzi utili per raggiungere i propri obiettivi”. E chiude mostrando tutta l’amarezza di chi sente “di appartenere a una generazione di persone usate, derise e tradite dai rappresentanti del potere che governa la loro patria”.
Non meno aspri sono i toni del noto campione di scacchi Garry Kasparov che in “Scacco matto allo zar” (Francia 2012), guarda alla Russia d’oggi dalla prospettiva del dissidente pluri arrestato che, pur di contribuire a progettare “una Russia libera, aperta e democratica”, ha accettato di vivere lontano e non vedere l’anziana madre e il figlio, dividendosi tra Usa e Croazia. Lo scacchista non è meno severo con i leader dell’Occidente di quanto non lo sia verso Putin: se questo ha annientato le fragili istituzioni democratiche, incarcerato politici e giornalisti che tentavano di parlare, trasformato petrolio e gas in armi, smantellato un’economia già fragile, creato un sistema di controllo fondato sulla paura, gli altri si sono resi colpevoli di averlo lasciato fare, di averlo avvicinato pensando di blandirlo con le lusinghe del consumismo e della libertà, cose che un despota accetta ma solo per sé e la sua corte di fedelissimi. Kasparov ricorda che “fin dal 2005 Putin aveva definito il crollo dell’Urss la peggiore catastrofe geopolitica del XXI secolo” quindi adesso non sta che correndo ai ripari. Con sarcasmo lo fa socio di “un club esclusivo cui sono iscritti anche Saddam Hussein e Slobodan Milosevic: i tre che nella nostra epoca hanno invaso militarmente una nazione confinante”, cosa che non si verificava dai tempi di Hitler e Stalin. Ed ecco allora le guerre in Cecenia, in Georgia, Crimea fino all’Ucraina, che lo portano a dire: “Dare a un dittatore ciò che vuole non lo fermerà dal desiderare ancora di più, anzi al contrario lo convincerà unicamente della debolezza dei suoi avversari (…) e spingerà il suo obiettivo ancora più lontano”.
Oltre alle terre da riconquistare, nel sogno di Putin conta molto anche il mito zarista da ricostruire. Proprio 104 anni fa, il 17 luglio 1918, venivano assassinati a Ekaterinburg Nicola II, l’ultimo zar di Russia, con la moglie e i cinque figli. Nel 2000 la Chiesa Ortodossa li ha canonizzati come “martiri della passione” e nel luogo dove furono uccisi fu costruita una chiesa nota come la “Cattedrale sul sangue”, consacrata nel 2003 alla presenza del presidente russo. Quel presidente era, manco a dirlo, Vladimir Putin.
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