Per una sedia che mancava
Due ospiti e una sola sedia su cui senza tentennamenti siede l'uomo europeo, accanto al padrone di casa turco. La donna resta in piedi... A una cena qualsiasi sarebbe imperdonabile maleducazione. E ad un incontro di capi di Stato? In entrambi i casi è dalle azioni che si riconosce l'uomo
Se voglio ottenere qualcosa non umilio chi me lo può concedere: tanto lapalissiano quanto non vero nel caso dell’incidente di Ankara, durante il quale il presidente della Turchia ha accolto i due presidenti di Commissione e Consiglio europei in una sfarzosa sala allestita con due sole poltrone, di cui una per se stesso. E pare davvero strano che chi da anni chiede di entrare in Europa si ingarbugli nel cerimoniale fino a incappare in un tale errore e lasciare uno degli ospiti in piedi: la donna.
La vicenda è due volte riprovevole. Da una parte perché è dai gesti che si riconosce l’uomo e questo episodio la dice lunga sulle intenzioni del presidente turco, preannunciate dal ripudio della Convenzione di Istanbul, firmata dallo stesso il 20 marzo scorso. Convenzione nata per la tutela dei diritti delle donne proprio in Turchia, paese dove i femminicidi ufficiali sono una media di trecento l’anno (tre volte i nostri) e dove il 37% delle donne dichiara di aver subito violenza fisica e sessuale. Prima di dire che non sia un atto misogino vale la pena di chiedersi: con due ospiti uomini sarebbe potuto succedere?
Dall’altra parte la scelta è stata miope anche sul fronte politico e diplomatico: con la scena della poltrona mancante chi chiede di entrare in Europa ha lasciato in piedi uno dei suoi più alti rappresentanti, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, organo legislativo dell’Unione.
Per questo l’incidente - indigeribile definizione – merita la qualifica di scandaloso: di fronte ad esso nessuna timida spiegazione, come si suol dire, “sta in piedi”. E’ stato un duplice errore: umano e politico.
Non meno – e giustamente – è stato criticato il presidente del Consiglio europeo Charles Michelle che, senza battere ciglio, si è seduto e sistemato i calzoni. Non ha ceduto la poltrona, né ha atteso di sedersi fino a che non ne fosse comparsa un’altra: per la donna ma anche per l’altro presidente europeo componente la missione. Quella sì sarebbe stata una lezione di civiltà da impartire con sorriso e fermezza. La sua nonchalance ha invece svilito Ursula von der Leyen come donna; ma in quanto presidente della Commissione europea ha svilito pure quell’Unione che era lì per un incontro dedicato, ironia della sorte, al riavvicinamento Turchia - Europa e a chiarimenti relativi al ripudio della Convenzione di Istanbul, considerata passaporto di parità di genere e quindi di civiltà.
Non va dimenticato che, nello scarica barile del rispetto dei protocolli e dei cerimoniali, c’è di mezzo il presidente di uno stato costellato da questioni spinose: la mancata pace con i curdi, la negazione del genocidio armeno, il coinvolgimento nella guerra siriana, l’islamizzazione progressiva (Santa Sofia passata da Museo nazionale a moschea), la fragile libertà di stampa e una parità di genere riconosciuta dalla Costituzione ma non si sa quanto effettivamente presente nella vita reale. Eppure è questo il presidente con cui l’Europa mercanteggia il contenimento dei flussi migratori lungo la rotta balcanica.
La poltrona mancante indigna senza sconti. E, ben oltre l’episodio, ferisce il pensiero che il tutto sottende, lo stesso che guida le scelte di chi ha il potere di disegnare e segnare il futuro di tante piccole ursule, in patria (dove quasi il 30% dei matrimoni vede la sposa avere meno di 18 anni) e in generale nel mondo (non si tratta di un caso isolato), dovunque le bambine debbano restare a casa da scuola (si pensi alla pakistana Malala), o subire angherie e mutilazioni fisiche e psicologiche; dovunque nel pianeta – anche fra le pareti delle nostre belle case – un uomo alzi voce e mani oppure intimi di tacere con un urlo, un gesto, uno sguardo, un non ascolto.
Per questo è una poltrona pesante quella che è mancata: ha mostrato che per le donne il cammino che porta alla pari dignità (non di carriera ma di persona) è ancora lunga e tortuosa.
Ma c’è una consolazione: come nella favola di Andersen, “I vestiti nuovi dell’imperatore”, l’episodio ha mostrato che il re è nudo, anche se i ciambellani di corte ne elogiano l’eleganza.
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