L'Editoriale
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Nella notte del dolore

Di fronte ai fatti gravissimi che insanguinano un’altra volta la terra di Israele e Palestina nascono tante domande di natura diversa: sull’uomo, sulla dignità, su cosa sia e fino a dove possa spingersi la lotta per la libertà da una parte e quella per la legittima difesa dall’altra. Rispondere è difficilissimo (foto Afp / Sir, 30 ottobre)

Parole chiave: Israele (42), Gaza (17), Hams (2), Palestina (31), Papa Francesco (201), Pace (89)
Nella notte del dolore

Siamo "nella notte del dolore": così si è espresso Papa Francesco nella preghiera in San Pietro del 27 ottobre. Un’accorata invocazione a Maria, Regina della Pace, perché aiuti l’uomo di fronte all’abisso di brutalità, violenza e morte che è la guerra, nella quale i piedi dell’umanità stanno sempre più scivolando col rischio di sprofondare. E’ "nella notte del dolore", mentre ogni freno alla escalation sembra impraticato, che Francesco ha invocato una luce più grande del buio dell’uomo, quel buio della ragione che è l’impeto della vendetta, sia pure più che provocata; quel buio che è la violenza contro inermi, sia pure sentiti come usurpatori.

Di fronte ai fatti gravissimi che insanguinano un’altra volta la terra di Israele e Palestina nascono tante domande di natura diversa: sull’uomo, sulla dignità, su cosa sia e fino a dove possa spingersi la lotta per la libertà da una parte e quella per la legittima difesa dall’altra. Rispondere è difficilissimo.
In più, in un mondo polarizzato che gioca alle opposte fazioni e schieramenti su cose ben più lievi, su questa che è vitale per due popoli, due nazioni e al contempo per il mondo intero, tutto si esaspera: gli animi si incendiano e si spaccano, allontanandosi sempre di più.
E quando non c’è più dialogo possibile, si diventa pura incarnazione dell’impeto che fa alzare la mano contro l’altro per odio o per vendetta che sia.
Quando non c’è più margine di dialogo possibile, si diventa tutti Caini, l’uno contro l’altro. Come se, svanita o messa tacere l’umanità, le due parti in causa diventassero mere esecutrici di ordini, macchine da guerra o da terrorismo, entrambe esecutrici di morte. Quando l’uomo mette a tacere la sua umanità, ascolta solo quello che è chiamato a fare: quello che non vede è che, uccidendo gli altri, ha già ucciso l’umanità che è in lui.
Questo è il rischio e questo una parte del mondo teme: che l’ordine di attacco in risposta a una violenza imperdonabile da una parte, alla rabbia fomentata e alimentata da chi sfrutta le popolazioni dall’altra, parlino al posto degli uomini; che le armi si facciano l’unica voce, non umana, di quei territori - come altri - sconvolti dalla guerra; che gli istinti superino ogni fragile ragione e si traducano - come nella storia tante volte hanno già fatto - in assetata vendetta dell’altrui sangue.
Il presidente americano Biden, in visita a Gerusalemme, ha riconosciuto le atrocità compiute negli attacchi del 7 ottobre da Hamas in cui, ha dichiarato, gli israeliani sono stati massacrati; ha ribadito l’appoggio americano ad Israele ma al contempo ha apertamente esortato il premier Netanyahu a non ripetere gli errori commessi dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre.
Tra gli osservatori esterni da più parti - religiose, politiche - si invita a tenere frenata e trattenuta la comprensibile e umana rabbia. A queste voci altre si oppongono, ricordando che alla provocazione si risponde prontamente, pena il subire altre stragi fino all’annientamento. Tra i due direttamente coinvolti il dialogo non c’è: come si trova la via, se nessuna delle parti sembra voler muovere un passo verso l’altra?
Papa Francesco lo ha capito bene e ha chiesto a Maria, Regina della Pace, di fare quel passo al posto nostro. Perché, le ha confessato, l’uomo da solo non ce la fa.

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