Le intelligenze contro le bombe
Si troveranno in undici in vaticano, chiamati da Papa Francesco. Vengono da tante parti del mondo ma hanno una cosa in comune: hanno tutti ricevuti un premio Nobel per la Pace. Con essi il Papa si dedicherà ad una due giorni contro il ricorso alle armi nucleari nel mondo. Un mondo che ha rispolverato la paura dell'atomica che pareva sopita se non dimenticata.
Undici premi Nobel per la pace sono a Roma. Partecipano all’incontro: "Prospettive per un mondo libero dalle armi nucleari: per un disarmo integrale". La regia è di Papa Francesco. Per due giorni, il 10 e 11 novembre, in Vaticano si parla di pace e denuclearizzazione. Che sia o no un tentativo di mediazione tra Trump e Kim Jong-un, leader della Corea del Nord, resta un evento su cui confidano i cuori del mondo, in ansia per la tensione crescente.
La questione coreana fa da sfondo a più eventi di novembre: il viaggio del presidente degli Usa nell’Estremo Oriente (Giappone, Corea del Sud, Cina, Vietnam e Manila), seguito da quello del Papa (Myamar e Bangladesh); nel mezzo la due giorni in Vaticano. Nessuno coinvolge direttamente la Corea del Nord. Nessuno può escluderla da ragionamenti e prospettive.
Il mondo tranquillo non è. L’arcivescovo Silvano Tomasi, delegato del Papa per le politiche del disarmo, ha dichiarato: "E’ evidente che ora siamo di fronte al rischio reale di un uso dell’atomica". Vi è infatti la diffusa consapevolezza che il rischio nucleare, sopito dopo la guerra fredda, è tornato d’attualità.
Conforta, e non poco, che dopo trent’anni di impegno, nel mese di luglio, 122 paesi abbiano sottoscritto all’Onu il "Trattato sul bando delle armi nucleari", ma la tensione continua tra Usa e Corea del Nord, fatta di lanci e provocazioni, tiene il mondo sulla corda. Come il sapere che sul pianeta grava un funereo corredo di 20 mila bombe atomiche. Più un’inquietante produzione di armi biologiche e relative minacce d’uso.
Tra gli undici Nobel per la pace ci sono l’insignita 2017 Beatrice Fihn, che ha diretto per Ican la campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari, e Mohammed El Baradel (premiato nel 2005), ex direttore dell’Agenzia atomica internazionale, che ha riconosciuto come non sia: "Mai stato così vicino lo scontro nucleare" e per questo si è detto disponibile a recarsi da Kim in nome del disarmo. Oltre ad essi, al summit convergono i vertici delle Nazioni Unite, della Nato, gli ambasciatori di Usa, Corea del Sud, Russia, direttamente minacciati dai proclami coreani, e Masako Wada, una delle ultime superstiti di Hiroshima. A Papa Francesco, da sempre sostenitore convinto del dialogo, spetta il compito di aprire i lavori, presenti il Segretario di Stato Pietro Parolin e il cardinale Peter Turkson, prefetto del dicastero per lo sviluppo integrale dell’uomo.
L’evento ha una portata storica e riporta alla mente due fatti. Da una parte riconduce al 25 ottobre 1962, quando solo l’intervento di Giovanni XXIII poté fermare la crisi cubana, con Russia e America sulla soglia della terza guerra mondiale. Dall’altra riecheggia il Manifesto contro l’atomica sottoscritto da altrettanti Nobel nel 1955. Tra i firmatari Bertrand Russel ed Albert Einstein.
Pace e denuclearizzazione sono una priorità per chiunque ami la vita. Propria e del pianeta. Lo sono state nel passato, sono tornate ad esserlo, attualizzate da minacce che, si impara, non sono mai finite una volta per tutte. In un suo scritto, Giorgio La Pira (che in un inedito di recente pubblicato scrive: "Eliminare l’atomica o saremo tutti quanti eliminati globalmente") ammoniva chi stava nella stanza dei bottoni: "La politica vera, quella efficace, porta il segno della descalation e non quella della crescita del terrore…". Ma alla descalation, allora come ora, paiono far appello solo le intelligenze del mondo.
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