L'Editoriale
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Il convitato di pietra

La definizione gli calza a pennello: è una situazione minacciosa, è qualcosa che quasi tutti stanno cercando di dimenticare o di ignorare, tuttavia si ripresenta, volenti o nolenti, costantemente. Il covid è proprio come il convitato di pietra: presenza che dal 2020 non riusciamo a togliere dalle nostre vite ma che talvolta qualcuno prova a cancellare almeno dai pensieri.

Il convitato di pietra

La definizione gli calza a pennello: è una situazione minacciosa, è qualcosa che quasi tutti stanno cercando di dimenticare o di ignorare, tuttavia si ripresenta, volenti o nolenti, costantemente. Il covid è proprio come il convitato di pietra: presenza che dal 2020 non riusciamo a togliere dalle nostre vite ma che talvolta qualcuno prova a cancellare almeno dai pensieri.

La situazione è davvero molto migliorata: da allarmante e pericolosa al punto da chiuderci in casa gli uni isolati dagli altri è passata - grazie alla scienza e alla medicina, a cure mirate e vaccini - ad una antipatica probabilità. Fingere che non esista però non è salutare né a ciascuno di noi né alla collettività che tutti viviamo e costituiamo.

A dirlo sono quei numeri che quasi dà noia guardare, gli stessi che a luglio hanno conosciuto nuovi picchi di contagiati, ammalati e purtroppo decessi: eppure, a guardarli, parlano chiaro.

Ai primi di giugno la pandemia sembrava sopita: in Italia il 6 giugno si registravano 8.616 nuovi casi e una settantina di decessi; alla stessa data i nuovi casi del Veneto erano 527 con 2 decessi e in Friuli Venezia Giulia 109 con un decesso.

Le cose sono però andate cambiando rapidamente e un mese dopo, al 6 luglio, i nuovi casi in Italia erano saliti a 110 mila con un centinaio di morti. Cosa è successo? Due cose.

Da un lato è comparsa una variante, Omicron 5, di maggiore contagiosità. Il prof. Pregliasco in uno scritto del 24 giugno l’ha definita di “una contagiosità estrema, superiore addirittura a quella del morbillo e della varicella, con un R0 che oscilla tra i 15 e i 17 (…) la variante Wuhan aveva un R0 di 2.5, mentre la Delta di 7. Questi valori (…) la rendono molto più temibile; una persona può contagiarne altre 15 o 17”.

Dall’altro lato, a fronte di tutto ciò, in Italia dal 15 giugno ci si è liberati dalle mascherine, rimaste obbligatorie nel modello FFP2 solo nei mezzi di trasporto (aerei esclusi), Rsa e strutture ospedaliere.

Pur persistendo la raccomandazione di continuare a usarle là dove, anche all’aperto, ci sia assembramento, è facile verificare quanto la norma di buonsenso sia saggia ma inascoltata al punto che ad indossarle ci si ritrova rari come le mosche bianche. Che portarle stanchi è vero, che farlo col solleone sia un atto di volontà altrettanto vero, ma è innegabile la duplice convenienza: salvare le nostre vacanze da inconvenienti sgradevoli, salvare quelle di chi ci sta accanto (ciascuno può essere contagiato ma anche contagiare).

Anche se i numeri di casi e vittime di fine luglio sono in netto calo, gli atteggiamenti da cicala spensierata non sono consigliabili: oltre alla questione contagi c’è pure quella di un sistema sanitario che, un po’ in tutto lo stivale, è in difficoltà: l’ordinario è alle prese con tempi di attesa per visite e controlli alquanto lunghi e il personale è stanco per la gestione di una emergenza pandemica che, pur tra alti e bassi, comunque persiste.

Ora che agosto e ferragosto ci aspettano con belle occasioni di incontro e ritrovo - che piacciono a tutti e fanno a tutti bene -, è facilissimo incappare in luoghi affollati. Il prof. Pregliasco suggerisce: “Non abbassiamo troppo la guardia, usiamo le mascherine come se fossero occhiali da sole”. E’ fin troppo facile prevedere che solo i secondi saranno ritenuti indispensabili.

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