Giustizia per Alan
Una morte straziante è quella di un bambino: come Alan Kurdi, tre anni, che nel 2015 è stato trovato riverso in una spiaggia mentre con la famiglia cercava la possibilità di una vita. Ora ha trovato giustizia. Ma quasi nessuno lo ricorda più
La sua foto ha fatto il giro del mondo, suscitando indignazione e polemiche.
L'indignazione di vedere un bambino di due anni riverso senza vita su una spiaggia. I bambini al mare vorremmo vederli solo intenti a rincorrere aquiloni o a costruire castelli sbilenchi.
Le polemiche suscitate dal fatto che quella foto non si sarebbe dovuta mostrare per un atto di pietà verso chi ne aveva forse conosciuta poco.
Una storia, quella del piccolo siriano Alan Kurid, risalente al 2015 e scivolata via senza essere archiviata del tutto: risvegliando sensi di colpa, ha interrogato una parte di mondo a lungo.
Anche se ora la battaglia contro un invisibile virus ci prende e ci attanaglia, ci fa bene ricordare che non siamo soli al mondo, anche se a soffrire ora siamo noi.
La notizia è che Alan ha trovato giustizia: lo scorso fine settimana, infatti, i tre scafisti che avevano organizzato la traversata nel mar Egeo, in cui cinque anni fa morì il piccolo, sono stati condannati da un tribunale turco a 125 anni di prigione a testa per "traffico di esseri umani" e "omicidio". Totale della pena: 375 anni.
Tacerlo ora sarebbe, sì, grave e tutti coloro che hanno pubblicato la sua foto dovrebbero adesso annunciare questa sentenza. Ma chi lo fa fatto? In pochi, pochissimi.
Allora sì che cinque anni fa si è fatta solo un'operazione commerciale e la sua vita perduta è valsa solo a scandalizzare e vendere.
A quella morte contribuiremmo ancora noi, oggi, con il nostro silenzio. E non vogliamo farlo. E lo scriviamo, e lo ricordiamo: il nostro fiore per il piccolo Alan.
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