Gaza, terra ferita
Il ricordo di una quaresima a Gaza: andare con i sacerdoti in alcune famiglie fidate, scelte dalla parrocchia, per consegnare alcuni generatori di corrente. P. Jorge e d. Mario mi traducono quanto ci viene raccontato: sono storie di povertà estrema, tensione, sofferenze fisiche (difficile è curarsi quando si presenta una malattia), ma soprattutto incertezza e fatica a sperare.
Gaza, terra ferita
Mercoledì delle Ceneri 6 marzo 2014: un inizio di Quaresima del tutto particolare, perché vissuto nella Striscia di Gaza. Mi aggregai a don Mario Cornioli, prete toscano in Medio Oriente da anni, che in quel periodo stava promuovendo una campagna di aiuti per fornire generatori di corrente che permettessero ad alcune famiglie di poter avere elettricità anche quando la Striscia ne venisse privata. Non fu facile ottenere i permessi per entrare, a dicembre ci erano stati negati. Il momento buono arriva all’inizio della primavera, quando la Terra Santa è un’esplosione di luce, di colori e di profumi.
Di buon mattino attraversiamo il valico di Erez, che interrompe il muro che separa Gaza da Israele, poi una lunga attesa e infine percorriamo la fascia di sicurezza disabitata che c’è tra il valico e le abitazioni, finché giungiamo in città. La Striscia di Gaza è l’area più densamente abitata al mondo, e si vede: palazzi alti e strade affollatissime rendono questo territorio un formicaio umano difficile da gestire. L’economia dipende completamente dall’esterno, le infrastrutture sono fatiscenti, non c’è possibilità di uscire senza l’autorizzazione di Israele o Egitto, difficile da ottenere. Sì, il sole è primaverile, ma i colori e i profumi non sono quelli della terra fertile di Israele, bensì il grigio dei palazzi, il marrone del fango, gli odori dello smog e delle discariche.
Andiamo nella parrocchia latina, intitolata alla Sacra Famiglia, che di qui passò per fuggire in Egitto; incontriamo il parroco di allora, p. Jorge Hernandez, argentino, il viceparroco, p. Mario Da Silva, brasiliano, e tre suore, indiane. Preti e suore sono stranieri perché a Gaza gli abitanti sono mussulmani sunniti, solo lo 0,1% è cristiano, e di questo solo un decimo è cattolico (gli altri nove ortodossi). La presenza cattolica, però, è stimata: le suore gestiscono una delle scuole migliori di Gaza, mentre i due sacerdoti continuamente lavorano per la riconciliazione tra le fazioni presenti nella Striscia (non c’è solo Hamas) e si impegnano in campagne di raccolta fondi per la popolazione, segnata da una povertà tremenda.
Cominciamo la nostra missione: andare con i sacerdoti in alcune famiglie fidate, scelte dalla parrocchia, per consegnare personalmente alcuni generatori di corrente. P. Jorge e d. Mario mi traducono quanto ci viene raccontato: sono storie di povertà estrema, tensione, sofferenze fisiche (difficile è curarsi quando si presenta una malattia), ma soprattutto incertezza e fatica a sperare.
Alla sera celebriamo il rito delle Ceneri con i pochi cristiani presenti. La celebrazione è comunque vivace e sentita, nel segno delle ceneri vedono anche la loro fragilità e precarietà, oltre che il bisogno di penitenza e la richiesta di intercessione perché si convertano i cuori di tutti coloro che, nella Striscia e in Israele, hanno la possibilità di cambiare la situazione.
La sera usciamo per le strade: nonostante tanto dolore, Gaza è viva, c’è il desiderio di incontrarsi. I sacerdoti mi mostrano parchi giochi costruiti sul luogo dove un tempo c’erano palazzi, bombardati in questa assurda guerra che da decenni insanguina la Terra di Gesù. Nei luoghi del dolore e della morte, rinasce la vita. Il giorno successivo riparto per Gerusalemme con questa speranza: è possibile rinascere, è possibile ripartire, ma ciò può avvenire solo attraverso la strada della riconciliazione e della pace.
d. Stefano Vuaran
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