L'Editoriale
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Fango e violenza sopra le urne

Agli elettori mancano le illustrazioni ponderate dei pensieri guida, delle idee, delle precise volontà di ogni parte in corsa

A chi affideremo le sorti del nostro Paese, del nostro futuro, delle nostre famiglie?

Parole chiave: Elezioni Urne (1)
Fango e violenza sopra le urne

Potremmo dare la colpa all’entropia, il disordine che in natura aumenta sempre, ma sarebbe uno scudo poco scientifico usato per mascherare una brutta deriva. Aggressioni verbali, incitamenti ad affondare il nemico, slogan e promesse in crescendo, non di credibilità ma di rumore. Da una campagna elettorale ci si aspetta altro. Una sfida di idee e non di parole esibite come muscoli prima di salire sul ring. Perché il più bravo non sarà chi avrà menato più forte, ma colui che saprà portare più lontano e più in alto il Paese.

Certo, lo si saprà solo dopo, dopo le elezioni, dopo anni di governo. Ma come scegliere se il Paese resta sullo sfondo e la prova di forza ruba scena e contenuti?

I programmi, ad esempio, non sono al momento abbastanza presenti. O lo sono a spot. Un tweet è efficace per un commento veloce, ma non è sufficiente. Un impegno va illustrato e argomentato. Esattamente come non basta un titolo geniale a fare un buon libro, o un cast di stelle un film da oscar.

Agli elettori mancano le illustrazioni ponderate dei pensieri guida, delle idee, delle precise volontà di ogni parte in corsa. A chi affideremo le sorti del nostro Paese, del nostro futuro, delle nostre famiglie? A chi le scelte riguardo sanità, scuola, banche, lavoro? A chi faremo decidere gli interventi a sostegno di una popolazione anziana che aumenta, di una natalità che continua a diminuire? Chi gestirà il fenomeno migratorio e in base a quale concetto di uomo e di mondo? Sono domande che, nei primi giorni di febbraio e a soli venti giorni dal voto non hanno esaustive risposte.

Non per aggiungersi alla lista dei populisti - lo sono i partiti come chi si lamenta a prescindere - semmai per suonare una campana di richiamo. Per dire che ci interessa, ma vogliamo altro. Per invocare una svolta all’insegna della concretezza, possibilmente più pacata, preferibilmente densa di idee, progetti, di entusiasmo del fare.

Invece, ci è toccata la macchina del fango. Può un candidato, a meno di un mese dalle urne, impegnare il proprio tempo a cercare compromettenti aspetti dell’avversario piuttosto che studiare, prepararsi, incontrare persone per capirne le reali necessità?

È così che si conquistano alla politica quei giovani del’99 a cui il Presidente della Repubblica, Mattarella, si è rivolto nel messaggio di fine anno? È così che si vince l’astensionismo? Parole urlate, slogan aggressivi, distruzione dell’avversario: non sono manifestazioni di civiltà.

In pochi giorni sono giunti gli appelli del premier uscente Gentiloni ("Confido nel senso di responsabilità di tutte le formazioni politiche"), come del Ministro dell’Interno Minniti dopo l’allarmante episodio di Macerata ("Il rischio che l’odio generi nuove violenze è altissimo").

Che la campagna elettorale sia ad alto tasso di aggressività lo confermano studi e sondaggi. Uno, commissionato da Ipsos, fotografa la percezione del tasso di ostilità: nella prima settimana era pari a 72% (dato medio tra aggressività e fake news), nella seconda è sceso al 69% (http://paroleostili.com/ricerche/indice-di-ostilita-della-campagna-elettorale-2018).

Sotto lo slogan, Parole o stili, è stato di recente pubblicato il "Manifesto della comunicazione non ostile", un decalogo contro il cyberbullismo che serve a tutti, non solo ai candidati e ai politici. Basterebbero due promemoria: "Si è ciò che si comunica" e "gli insulti non sono argomenti".

Fonte: Redazione Online
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