Eppur (non) si muove
Sarà un primo maggio turbato dalla non crescita dell’Italia. Il quadro incerto ci rende osservati speciali da parte dell’Europa. Tra pareri diversi e le urne di fine maggio una cosa è certa: se manovre correttive ci saranno arriveranno dopo
Sarà un primo maggio turbato dalla non crescita dell’Italia. L’allarme era stato lanciato a fine marzo da Confindustria: il Paese è fermo, siamo nella stasi. L’incipit del rapporto lo aveva messo nero su bianco: "L’economia italiana è prevista sostanzialmente in stagnazione nel 2019 e in esiguo miglioramento nel 2020. Rispetto alle previsioni, la crescita è rivista al ribasso". I dati: crescita zero per il 2019, dello 0,4% per il 2020.
A contenere gli echi da Cassandra sono arrivate, alla vigilia di Pasqua, le rivelazioni di Bankitalia: il primo trimestre del 2019 si chiude con un (sia pur timido) +0,1%. Ma da qui a dire che il pericolo è scampato ce ne vuole.
Cosa significa in termini di lavoro? No crescita, no assunzioni. Lo ha dimostrato il 2018: in una prima fase il Pil ha avuto un andamento positivo, producendo un +198mila posti di lavoro; nella seconda si sono verificate delle flessioni che hanno una perdita di 84mila posti.
L’analisi di Confindustria è economica, non politica: vede le cause nel rialzo dello spread, nel calo di fiducia di imprese e famiglie ma soprattutto nel rallentamento dell’economia europea, Germania compresa, le cui stime di crescita scendono fino allo 0,5-0,8% del Pil.
Nel complesso scenario di non crescita, e anzi proprio alla luce di questo, risuonano audaci le scelte fatte - questa volta sì - dalla politica: maggior impegno di spesa per realizzare il reddito di cittadinanza e quota 100, diventate legge negli stessi giorni in cui gli industriali presentavano la fotografia economica del Paese. Stridente coincidenza a cui la politica ha risposto con la preoccupazione di Di Maio, il commento di gufi rivolto da Salvini agli economisti e la fiducia nelle scelte di governo del premier Conte.
Bankitalia tinge di un debole rosa l’orizzonte grigio fumo illustrato senza sconti anche dal ministro dell’economia, Tria, nel Documento economico e finanziario (Def): la stima di crescita per il 2019 è dello 0,1% del Pil, mentre la legge di bilancio di fine 2018 la indicava all’1%. Inoltre, non va dimenticato che il Paese deve fare i conti con un deficit in rialzo (2,4%) e un debito pubblico che sfiora il 133% del Pil.
Quanto potranno incidere i decreti Crescita e Sbloccacantieri è prematuro dirsi. Risulta invece evidente la necessità del Paese di reperire risorse finanziarie per mantenere gli impegni presi e non aumentare l’Iva. Le strade indicate: vendita di immobili pubblici (600 milioni di euro incassati nel 2018, oltre un miliardo previsto per il 2019), privatizzazioni (stima di incasso 18 miliardi), migliore gestione delle concessioni pubbliche. E nel contempo l’uso delle forbici: sottraendo due miliardi di spesa ai ministeri; definanziando interventi già previsti e non più giudicati utili o prioritari (Tav?); riducendo agevolazioni fiscali; rivedendo procedure amministrative al fine di una maggior efficienza.
Il quadro incerto ci rende osservati speciali da parte dell’Europa, anche se il premier tranquillizza: il governo non intende aspettare passivamente gli eventi, in autunno scatterà la fase due. Tra le promesse di intoccabile Iva (che Tria reputa però necessaria) e l’annunciata Flax tax una cosa è certa: se manovre correttive ci saranno arriveranno dopo le elezioni di fine maggio, dato che sono sempre poco amate e tanto meno premiate dagli elettori.
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