L'Editoriale
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Ciò che alimenta il sogno di Nazione

Mentre l’Italia si divide per l’ennesima crisi, gli Stati d'America sembrano riunirsi nelle parole del nuovo presidente Biden. Tanto pacato quanto efficace nel far sentire il vento del cambiamento, antico come i valori riportati in auge. 

Ciò che alimenta il sogno di Nazione

Mentre l’Italia si divide per l’ennesima crisi, gli Stati d’America sembrano riunirsi nelle parole del nuovo presidente Biden. Tanto pacato quanto efficace nel far sentire il vento del cambiamento, antico come i valori riportati in auge. Sono gli stessi che hanno fatto grande l’America: primo la democrazia, con cui ha aperto il discorso d’insediamento; poi quello che da sempre alimenta il sogno Usa, ovvero la possibilità offerta ad ogni talento – qualsiasi pelle vesta, qualsiasi madrelingua parli – di esprimersi e affermarsi. E la nuova compagine di governo lo dimostra.
Il cambio di rotta rispetto agli anni dell’America first e di una propensione al “potere bianco” è salito sul palco – multirazziale e molto al femminile – della festa targata Biden: ha cantato l’inno americano, citato in spagnolo il giuramento alla bandiera, recitato versi di una poesia patriottica incarnando il giovane volto di una scrittrice di origine afroamericana. Allo stesso modo, un bouquet variegato di etnie, provenienze e capacità è accanto al neo presidente per dar volto e voce all’intera nazione: è giamaicana e indiana la prima donna vice presidente, siederanno nella stanza dei bottoni una nativa (Interno), una figlia di cinesi (Fisco e Bilancio), un’afroamericana (ambasciatrice all’Onu), un’italoamericana (Commercio). Per la prima volta vanno alle donne, due statunitensi, Tesoro ed Intelligence.
Una pacata rivoluzione ha riavviato la macchina dello Stato, dopo i mesi di tensioni e scontri pre e post elettorali. Con fermezza e serietà l’unità invocata era lì a dimostrare che dalle strade sbagliate (poiché divisive e violente) si può fare marcia indietro, quando i migliori talenti del paese si uniscono per il paese stesso.
Le parole di un anziano presidente sono parse ricucire gli stati divisi, risuonando salde e lapidarie come cartelli stradali che indicano la via a chi si è perso. Abbandonata la tronfia retorica, Biden ha invocato democrazia e unità, ma anche cura e umanità.
Non è l’inizio di una favola. I mesi a venire saranno durissimi: con una previsione di vittime stimate in 500mila per febbraio, con oltre un terzo della popolazione sotto la soglia di povertà, con un’economia che sanguina per le ferite delle imprese che chiudono e i disoccupati che crescono. Ma una si è sentita l’America all’inno cantato dalla nostra Germanotta (Lady Gaga), e parole cantate da JLo (“Questa terra è stata creata per te e per me”) hanno incorniciato il sogno di tanti latinos come il suo appello in spagnolo “Giustizia e libertà per tutti”.
L’America, tornata a sognare in grande, rimuove la polvere che il 6 gennaio – giorno dell’assalto al Campidoglio – si era depositata sulle stelle di una bandiera sinonimo di libertà, possibilità, speranza. Ma orgoglio e sogno di futuro non sanno attraversare l’oceano.
Anche l’Italia vive i tremendi effetti della pandemia, non sa però trovare analoga forza. Se il popolo americano sembra ricompattarsi attorno al valore della nazione, quello italiano resta diviso da una politica del “particulare” che la maggior parte del paese non comprende nell’urgenza di una crisi arrivata con sorpresa ma capace di far traballare e compromettere la maggioranza. Come una teiera colpita ha cercato di ricomporsi ma, pur trovando le tessere necessarie, non è tornata quella di prima. Con la salita al Colle del premier si aprono scenari nuovi e, si dice, i giochi sono aperti. Ma la vita del paese e degli italiani è ben altro che un gioco tra le parti, una sfida da vincere. Mattarella lo aveva anticipato nel discorso di fine anno: “Questo è il tempo dei costruttori… Non vanno sprecate energie e opportunità per inseguire illusori vantaggi di parte. È questo quel che i cittadini si attendono”.
Anche sull’Italia incombono infatti mesi decisivi: un Piano Nazionale di Ripresa e resilienza da presentare entro aprile all’Europa del valore di 209 miliardi, un insieme di prestiti e sovvenzioni che significano oggi salvezza e domani debiti; un virus tutt’altro che domo con varianti in crescita anche di pericolosità; una vaccinazione che rallenta per la mancata consegna delle dosi stabilite; interi settori dell’economia (commercio, turismo, cultura) in asfissia. Il tutto con una popolazione che, sfumato il solidale coraggio di primavera, vive un inverno di stanchezza, sfiducia e rassegnazione.
E’ come se al motore e alla macchina della nazione mancasse il propellente per lo scatto necessario a riafferrare e portare avanti quel progetto di paese in cui “Andrà tutto bene”. In America ci sono riusciti, suggellati anche dai versi alti e acerbi di una poetessa: “Ricostruiremo, ci riconcilieremo e ci riprenderemo”. Quanto sarebbero utili anche qui.

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