L'Editoriale
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Attesa e speranza

Stentiamo e insieme desideriamo ritornare con la mente a un anno fa, quando - come adesso - l'Immacolata apriva le porte a Natale e ci trovava pronti a farci prendere dalla futile frenesia dell'addobbo come da quella generosa del dono; pronti a scivolare nell'ovatta calda dei pranzi in famiglia, degli abbracci ai parenti, dello scambio di auguri tra amici, di consumismo - sì - ma anche di pensieri più buoni per un "noi" tutto da vivere.

Parole chiave: Covid (66), Vaccino (9), Natale (57)
Attesa e speranza

Ci sono domande non dette che scivolano da sguardo a sguardo, in bilico sulle mascherine, man mano che i mesi passano e l'emergenza sanitaria resta. Tanto più adesso, dopo un'estate d'illusa normalità, in piena seconda ondata e con un virus presentissimo che ci tiene lontani gli uni dagli altri.

Siamo travolti e stravolti da questo Covid che, con oltre sessantatrè milioni di contagiati e un milione e mezzo di vite rubate al mondo, ha mietuto a ritmi che credevamo esistere solo nei libri di storia e davamo per irripetibili.

Stentiamo e insieme desideriamo ritornare con la mente a un anno fa, quando - come adesso - l'Immacolata apriva le porte a Natale e ci trovava pronti a farci prendere dalla futile frenesia dell'addobbo come da quella generosa del dono; pronti a scivolare nell'ovatta calda dei pranzi in famiglia, degli abbracci ai parenti, dello scambio di auguri tra amici, di consumismo - sì - ma anche di pensieri più buoni per un "noi" tutto da vivere.

E quest'anno? In bilico tra occhi e mascherina, ora che quei giorni tornano sul calendario e meno nelle nostre vite incupite dalla prepotente presenza del virus, aleggia su tutti un "fino a quando?" che non può avere risposta né breve né certa.

L'indeterminatezza mina i pensieri, accende domande: che ne sarà di noi? Non solo dei natali sì luccicanti ma anche dei pranzi condivisi, delle soste ai presepi, delle serate di canti bambini, capaci di regalare momenti sereni dopo i mesi del lavoro e della fretta?

Che ne sarà di noi che, impauriti alla finestra di un mondo in lutto e sotto attacco, nel nostro pur confortevole isolamento ci sentiamo soli di fronte a questo nemico e indaffarati a tacitare timori per la salute di uno zio, il lavoro di un amico, i parenti lontani che non rivedremo, la vicina infermiera che ci ha confessato paure e stanchezze?

Che ne sarà di noi, che mai avremmo immaginato di rivedere sulle nostre strade, sotto forma di camion militari, moderni monatti portar via i nostri cari; che mai avremmo voluto altre madri piangere le loro manzoniane Cecilie né troppe Cecilie piangere mamme e nonne, impedito l'ultimo saluto, negata l'ultima carezza?

Che ne sarà di noi, che sperimentiamo quarantene come esperienze vive e non come parole riposte in lemmi di polverosi dizionari?

Che ne sarà di noi se gli scudi della modernità e della tecnologia mostrano tutte le loro crepe e questa presa di coscienza ci rintrona come un pugile colpito un gancio non parato? 

Che ne sarà di noi, feriti da un virus che incrina certezze, dispensa mali, spegne vite, angoscia con preoccupazioni d'ogni sorta: sanitarie, economiche, familiari, affettive?

Non c'è nessuno, non c'è settore che possa dirsi escluso. Di questa croce ciascuno porta la sua parte: chi più pesante (i malati e chi li cura), chi più lieve (chi può uscire e lavorare, chi è sano), ma nessuno è indenne, nessuno può dire se stesso e i suoi cari totalmente al sicuro.

Se una luce può accendersi in mezzo all'attuale tempesta di eventi ed emozioni viene da un possibile vaccino, che ci salvi, che ci liberi dal male, che riapra per noi le porte del mondo. Ed è proprio in questa agognata attesa che, inconsapevolmente, stiamo già sperimentando quanto sia preziosa la speranza di una salvezza possibile. 

I timori dell'oggi offuscano l'insospettabile Avvento che è già in noi: questo è il tempo di una speranza sempre nuova e sempre vera, il tempo dell'attesa delle attese: la salvezza che si incarna in un Salvatore che si fa Bambino. Nel tempo sospeso di queste settimane - meno chiassose e meno luccicanti – riusciremo, forse più di prima, a sentirne la voce. E a riconoscerla.

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