L'Editoriale
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Assalto alla democrazia

Dall’altra parte dell’oceano è accaduto per la seconda volta: l’assalto al governo da parte di chi, a urne chiuse, non riconosce e non crede al risultato delle elezioni. Ora, se è pur vero che la lettura dell’attualità come figlia del complotto è una specialità di questi nostri giorni (per restare fuori dal contesto politico si pensi alla questione pandemia e/o vaccini), è altrettanto vero che simili episodi non possono non preoccupare.

Assalto alla democrazia

Dall’altra parte dell’oceano è accaduto per la seconda volta: l’assalto al governo da parte di chi, a urne chiuse, non riconosce e non crede al risultato delle elezioni. Ora, se è pur vero che la lettura dell’attualità come figlia del complotto è una specialità di questi nostri giorni (per restare fuori dal contesto politico si pensi alla questione pandemia e/o vaccini), è altrettanto vero che simili episodi non possono non preoccupare.

L’assalto alla democrazia non deve lasciare indifferenti: per la non accettazione del frutto del libero esercizio di voto di ciascun cittadino e per il tentativo di rovesciare i legittimi vincitori. Infatti se non si accetta la parte più votata non si contesta solo chi ha vinto, ma – consapevolmente o meno – si va a minare con l’insinuazione del dubbio anche il meccanismo di voto. E quando questo corrisponde ad elezioni libere e democratiche, come quelle avvenute negli Usa e in Brasile, il fatto è grave.

Il 6 gennaio di due anni fa colpirono non poco le scene, anche folcloristiche ma profondamente antidemocratiche, degli assalitori entrati con violenza nella Capitol Hill di Washington, ma ancora peggiore fu il sospetto che chi aveva prima esercitato il potere in virtù di vinte elezioni - un ex presidente - non avesse accettato chi, dopo di lui e in virtù del medesimo meccanismo, era diventato il nuovo presidente, espressione di un diverso schieramento politico.

Quel che allora valse per Trump vale adesso, dopo i fatti dell’8 gennaio, per Bolsonaro. In politica chiodo cerca di scacciare chiodo con colpi di Stato e azioni violente, ma se la democrazia è forte l’operazione non riesce.

Tra Usa e Brasile esistono differenze ed esistono analogie. Sicuramente l’assalto statunitense fu una sorpresa per tutti e accadde in modo repentino, mentre per quello brasiliano si tratta di una seconda volta, preceduta da mesi di mobilitazione, tanto che si sospetta pesantemente la complicità della polizia e del governatore di Brasilia rimasti fedeli all’uscente presidente Bolsonaro. In entrambi gli episodi ci sono però reità a carico dei leader, alle quali va sommata una buona dose di malafede da parte della popolazione. Trump e Bolsonaro, non riconoscendo i legittimi vincitori - Biden e Lula -, hanno infatti continuato a dichiarare pubblicamente e aggressivamente che le elezioni che li avevano visti perdenti erano frutto di brogli. Allo stesso modo e in conseguenza delle loro dichiarazioni, parte della popolazione ha dimostrato analogo e profondo scetticismo circa il corretto svolgimento e quindi l’esito delle stesse (si dice un brasiliano su cinque).

Ora, quel che è grave e che resta da capire, è se lo scetticismo verso questo sistema democratico nasca spontaneo nei cittadini o se sia piuttosto indotto dalla spavalda sicumera degli ex capi di governo, che non hanno lesinato dichiarazioni gravi, anche servendosi dei social. Ma un conto è inveire a titolo personale, ben altro conto è trascinare le folle all’assalto per riottenere con la forza quello che pacifici elettori hanno diversamente scelto.

In Brasile, stando a quel che va emergendo dalle indagini, oltre un centinaio di imprenditori avrebbe pagato migliaia di manifestanti e noleggiato pullman per le trasferte al fine di inscenare quanto abbiamo visto. Solo un mese fa negli Usa la Commissione della Camera incaricata di fare luce sull’assalto al Congresso, all’unanimità ha raccomandato al Dipartimento di Giustizia di incriminare Donald Trump per incitamento all'insurrezione.

I due paesi vengono da storie profondamente diverse, eppure hanno vissuto il medesimo assalto: gli Usa sono stati la prima democrazia al mondo, hanno adottato una Repubblica federale e la loro Costituzione è nata prima della rivoluzione francese (4 marzo 1789); il Brasile ha un percorso accidentato, con una forma di governo repubblicana nata e interrotta più volte, l’ultima delle quali col ventennio di regime militare vigente dal 1964 al 1985.

La democrazia, come spesso ripete il costituzionalista Sabino Cassese, è un tesoro fragile e vulnerabile, ma resta la migliore forma di governo: non solo perché espressioni dei più, ma anche perché questa è esercitata tramite il libero diritto al voto (democrazia rappresentativa) e non imposta da una parte che sopraffà per privilegio di potere, censo o per altre forme di supremazia, armi comprese.

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