Italia: il paese delle armi
Dallo studio presentato alla Caritas diocesana - presente l'autore Beretta - è emerso che proprio il nostro bel paese si distingue, quantomeno a livello europeo, nella produzione e distribuzione delle armi civili, sia per una antica storia produttiva
Allora Gesù gli disse: "Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada". Parole che risuonano nelle nostre teste a pochi giorni dalla Pasqua appena trascorsa.
Le spade di ieri, le armi, anche comuni, di oggi. Su questo, cioè sulle armi cosiddette comuni (non da guerra) in Italia, è intervenuto Giorgio Beretta, analista del commercio delle armi di OPAL (Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa di Brescia) invitato dalla Pastorale Sociale e del Lavoro della Diocesi di Concordia Pordenone.
Di fronte al tema caldo della guerra in Ucraina e delle forniture di armi militari (bombe, lanciamissili, mitragliatrici, carriarmati, ecc) parrebbe quasi che la questione delle armi cd. civili (pistole o fucili) sia ben poca cosa.
Scopriamo, invece, che le armi leggere legalmente detenute, nei decenni hanno causato la morte di più uomini e donne delle guerre mondiali tanto che l’ex Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan non esitò a definirle vere e proprie armi di distruzione di massa.
Ma dallo studio dell’Autore è emerso che proprio il nostro bel paese si distingue, quantomeno a livello europeo, nella produzione e distribuzione delle armi civili, sia per una antica storia produttiva (si pensi alla Beretta di Gardone Val Trompia che vanta forniture di archibugi alla Serenissima), sia perché l’Italia risulta essere il primo produttore europeo di armi comuni (pur occupando alla proprie dipendenze solo circa 3000 persone ovvero lo 0.02% degli occupati nel manifatturiero italiano), con una esportazione prevalente (il 60% delle armi prodotte vendono vendute negli Stati Uniti), sia per la facilità di ottenere il possesso di queste armi (le licenze, di diversa tipologia, ultimamente va per la maggiore quella per il tiro sportivo, non sono soggette a controlli preventivi penetranti, nemmeno di tipo medico legale, e una volta ottenute consentono l’acquisto non solo di un’arma, bensì di una moltitudine di pistole e/o fucili e simili, un potenziale arsenale che chiaramente non può lasciarci tranquilli se solo gettiamo lo sguardo su quel che accade in altre zone del mondo). Non si sa, invece, di preciso quante siano le licenze in essere attualmente, ma si stimano nell’ordine di 1 milione e mezzo su una popolazione italiana di 60.
A proposito di conoscenza dei dati sul commercio delle armi, l’Autore ha ripercorso anche l’evoluzione legislativa in materia, dalle prime fonti di età fascista che consideravano la produzione e il commercio di armi un segreto di stato, fino alla legge 185 del 1990 che, oltre a limitare il commercio, ha imposto un regime di trasparenza sui dati della produzione e commercio verso l’estero anche attraverso la pubblicazione di un report annuale che, però, a parte i primi anni di avvio, risulta essere stato sempre più carente di informazioni in specie con riferimento ai paesi esteri di destinazione delle armi vendute (e qui l’attenzione deve andare evidentemente ai Paesi ove si perpetrano violazioni dei diritti umani o che sono in conflitto armato con altri paesi).
Conclusivamente ne emerge un quadro in chiaro scuro che vede una forte produzione di armi, anche leggere, per lo più destinate all’esportazione ma ben presenti anche tra la popolazione italiana che, probabilmente, sente nel possesso delle stesse un fattore di sicurezza e ciò pur essendo pacificamente in calo da anni il tasso degli omicidi volontari e dei reati con violenza (con l’eccezione dei femminicidi, spesso peraltro commessi utilizzando proprio le armi cd. comuni). Si tratta del circolo della paura che viene reso con evidenza studiando ciò che avviene negli Stati Uniti allorquando si verifica una strage armata per es. in una scuola: con le armi, facilmente acquistabili, si compie la strage, si genera - quindi - un sentimento di generale paura tra la popolazione, le persone - infine - corrono ad acquistare ulteriori armi per sentirsi più sicure e che - in ultima analisi - saranno fonte di nuove stragi. Il Governo, in quel caso statunitense, annuncia riduzioni del commercio che però poi non attua.
Insomma la questione della produzione e del commercio delle armi anche cd. leggere appare oggi non meno di ieri di centrale importanza sia per i risvolti concreti in quanto strumento di violenza, sia da un punto di vista sociale e culturale perché fonte, in ultima analisi, di paura e insicurezza, da un lato e di una cultura di violenza, dall’altro.
Alessandro De Paoli
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