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Intervista al presidente nazionale di Ac: Truffelli

Presnete alla assemblea elettiva di Azione Cattolica, è stato intervistato il presidente nazionale Truffelli: il suo bilancio

Parole chiave: Truffelli (1), Ac (50), Diocesi (193), Presidente (20)
Intervista al presidente nazionale di Ac: Truffelli

  ll’assemblea elettiva della Azione Cattolica diocesana, riunita a San Vito al Tagliamento, domenica 9 febbraio, è intervenuto il presidente nazionale Matteo Truffelli positivamente colpito da un’associazione diocesana tendenzialmente giovane. Ha invitato i giovani responsabili presenti a pretendere di non essere lasciati soli perché in Azione Cattolica una responsabilità è sempre una corresponsabilità. Ha rilanciato l’esortazione per un’associazione capace di mettersi in comunicazione con la vita di tutti, capace di lasciarsi scuotere e farsi mettere in discussione dalle domande e dai bisogni delle persone. Un’AC che non abbia paura di farsi prossima e di immischiarsi nelle vicende del proprio territorio, puntando a fare le cose insieme con gli altri, tessendo alleanze. Un’AC coraggiosa nel ripensarsi custodendo l’architrave portante della formazione.
Riportiamo di seguito l’intervista che il presidente Truffelli ci ha concesso durante la pausa dei lavori assembleari.

Come sta e come si sente nel ruolo di Presidente?
È un’esperienza molto bella, molto intensa ed è un grande privilegio perché si incontra una Chiesa bellissima e si fanno esperienze rincuoranti. Ci fa sempre molto piacere quando, visitando le varie diocesi in tutta Italia, a noi della Presidenza viene detto che "si vede che vi volete bene e vi divertite a fare quello che fate". Naturalmente è faticoso perché ci sono tante responsabilità, tanti aspetti da valutare e da gestire. I momenti di grande gioia sono stati così tanti che è difficile trovarne uno emblematico, nel complesso sono stati sei anni di grande grazia.

Presidente da quasi sei anni, durante la sua presidenza si sono celebrati i 150 anni dell’AC e i 50 dell’ACR. Il bilancio?
Ho vissuto questi sei anni all’interno di un’associazione vitale, creativa e coesa; sono stati sei anni segnati dal tentativo di rincorrere papa Francesco, che è sempre un passo più avanti con il suo desiderio di Chiesa. Il 150° è stato un’occasione preziosa per ricordarci che noi da sempre abbiamo fatto così: abbiamo cambiato nomi, forme e statuti, ma per rimanere in fondo sempre uguali a noi stessi, ossia per rimanere quei laici che insieme vogliono mettersi a servizio della propria Chiesa e del proprio tempo. L’ACR e lo statuto del 1969 nascono per essere la Chiesa del Concilio e questo è quello che noi vogliamo essere: una Chiesa che aiuta la Chiesa stessa a essere ciò che deve essere.

La seconda meta assembleare [ndr le linee guida che l’associazione si dà di triennio in triennio] si focalizza su unitarietà e intergenerazionalità: l’elemento che le unisce è l’incontro. Come dare centralità all’incontro in AC?
Suggerisco di essere dei perdi-tempo, cioè di essere delle persone che non escono di casa solo con l’occasione di ascoltare una bella relazione, per l’organizzazione di qualche evento o solo se c’è qualche frutto da portare a casa, ma che sanno regalare il proprio tempo. Oggi il tempo è la cosa più preziosa che abbiamo e saperlo regalare significa moltiplicarlo per il bene di tutti.

La quinta meta, che riprende gli indirizzi nazionali ("Tutto ciò che è umano ci riguarda, costruttori di alleanze") richiede di essere nel presente, in questo tempo, in questa società. In che modo può spendersi l’Azione Cattolica?
"Tutto ciò che è umano ci riguarda" è un’espressione tratta dalla Gaudium et spes, è un insegnamento del Concilio. Non c’è un aspetto della vita delle persone e della società che non debba coinvolgerci e non debba scaldare il nostro cuore. Partendo da questo presupposto, possiamo allora chiederci in che modo le persone che abitano in questo territorio e in questi giorni ci chiedono di metterci a servizio. A partire da questa domanda dobbiamo costruire alleanze per rendere l’umano ancora più umano, più fraterno, più solidale e più giusto.

Costruire alleanze è declinato nel senso di aprirsi ad altre associazioni che animano la comunità. Ciò può rendere necessario rinunciare a qualcosa di caratteristico. Che cosa è essenziale dell’AC e del suo stile?
Spesso capita di dirsi che facendo cose con altri rinunciamo alla nostra identità o rischiamo di perderla; invece fare questo ci restituisce la nostra identità: essa è proprio saperci mettere a servizio della realtà e della Chiesa in cui siamo. La nostra identità è saperlo fare insieme, come laici associati. Non perdiamo nulla di nostro nel lavorare insieme con gli altri, nel condividere il cammino con la nostra Chiesa diocesana, nello stare in parrocchia e nel modificare iniziative e programmi in base a questo.

Presidente, l’essere nel presente si è tradotto per molti nell’attivo impegno politico. In che cosa si distingue l’appartenenza all’AC di una persona che voglia spendersi per il bene comune in politica al tempo del populismo? Che cosa l’Azione Cattolica non deve far mancare a chi è impegnato in politica, che cosa può offrire?
Credo che tre elementi dovrebbero contraddistinguere un politico aderente all’A.C.:
- il senso della gratuità, dello spendersi in questo servizio con generosità e senza tornaconti personali;
- il secondo aspetto è lo spendersi per il bene comune, che è il bene di tutti e il bene che tutti costruiamo insieme;
- infine è importante fare questo chiedendosi quale sia il bene per i più deboli, perché il bene comune si costruisce se ci si pone dal punto di vista dei più deboli, di coloro che hanno meno diritti, meno forza e meno voce.
L’associazione da parte sua non deve abbandonare né allontanare da sé le persone che desiderano dedicarsi alla politica, ma anzi deve accompagnarle, discutere con loro, farle misurare con la realtà, far percepire la gratitudine per questo impegno, offrire occasioni di formazione e prendersi cura della loro vita spirituale. In molti casi l’A.C. è la radice da cui è germogliata la vocazione al servizio ed è, pertanto, un legame che non può voler recidere.

Il 12 febbraio è stato il 40° della morte di Vittorio Bachelet. Che cosa ha fatto suo di questa figura e che cosa riprende del suo messaggio?
Mi piacerebbe essere riuscito a fare mia la sua dedizione alla Chiesa, alle istituzioni e alla società; la sua capacità di lottare non attraverso la forza e il potere ma attraverso la mitezza; la sua capacità di trovare sintesi tra posizioni differenti; e il suo sguardo ironico sulla realtà, che permette di relativizzare e non prendersi troppo sul serio.

Per concludere, ha da poco pubblicato il suo ultimo libro, Una nuova frontiera. Sentieri per una Chiesa in uscita. Che cosa può dirci per invitarci alla lettura?
Una buona ragione è cercare di capire come mai si intitola Una nuova frontiera e perché c’è l’immagine dello sbarco sulla luna in copertina. Un secondo valido motivo è che è stato pensato per essere letto tutto in un viaggio tra Venezia e Roma, quindi è una lettura veloce, ma ricca di incoraggiamento a stare in cammino illuminati dal faro della fraternità che, come dice papa Francesco "è la nuova frontiera del cristianesimo".
Anna Tissino

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