Fabio Cavallari dà voce alle parole di Alessandro Pivetta
A Pordenonelegge mercoledì alle 20.30 Fabio Cavallari presenta E adesso parlo io. Monologo liberamente tratto da un ragazzo in "stato vegetativo", presenta Valerio Pradal. Qui quanto l'autore ci ha anticipato
Presentare un libro come E adesso parlo io (Edizioni Lindau), portare nelle piazze e nelle sale la narrazione di Alessandro Pivetta, in stato vegetativo per quattordici anni, offrirgli quella voce che non poteva più manifestare, rappresenta uno spartiacque straordinario.
Un conto è la scrittura, l’immersione nelle parole che si fanno vita, il tentativo di offrire un equilibrio tra ciò che il lettore si aspetta e quello che realmente vuoi, anche cinicamente, sbattergli in faccia. Scrivere un libro è sempre un’esperienza affascinante, permette di solcare acque sconosciute, scoprire panorami celati, costruire un legame affettivo con la materia che si cerca di addomesticare. Scrivere è un po’ come imparare ogni volta l’alfabeto, guardare e vedere una bellezza che appare nuova, perché sconosciuta, non ancora abbracciata.
Un’altra cosa è caricarsi tutto questo portato di esperienze sulle spalle ed iniziare il viaggio. Perché un libro vive davvero solo quando cammina in mezzo alla gente. I libri non dovrebbero mai giacere in libreria, negli scaffali, ma diventare utensili, strumenti in mano alle persone. Sottolineati, stropicciati, consumati dall’usura, persino dall’abuso. Ogni presentazione è un unicum irripetibile. Ben diverso dallo spettacolo teatrale, le pagine si piegano o rimangono intonse, a seconda dell’interlocutore, dello sguardo dell’altro che ti accompagna, di colui che vuole sapere di più, dello scettico che non entrerà mai in connessione sentimentale con la storia narrata, perché adombrato da quel pensiero anaffettivo che domina le nostre società moderne. Mi piace una frase, che appartiene agli indios del Chiapas: "Camminare domandando". Ecco, il viaggio è sempre una domanda ma è tale solo se i viandanti si guardano negli occhi, se ad un passo segue uno sguardo.
Con Giancarlo e Loredana, i genitori di Ale, che mi hanno accompagnato ovunque, è accaduto proprio questo. La loro narrazione e la mia interpretazione di una voce che, in realtà, non ho mai ascoltato, sono andati ben oltre il libro stesso, lo hanno trasceso, mondato. Abbiamo scoperto assieme una carovana di persone, che hanno arricchito il nostro bagaglio di esperienze. Ed è così che durante il cammino, l’incontro è diventato esperienza di vita, proprio come il grande poeta greco Kavafis "cantava" nella sua celebre Itaca: "Quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga fertile in avventure e in esperienze. […] Sempre devi avere in mente Itaca - raggiungerla sia il pensiero costante. Soprattutto, non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio metta piedi sull’isola, tu ricco dei tesori accumulati per strada senza aspettarti ricchezze da Itala".
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