Don Luigi Sturzo: doppio anniversario nel 2019
Quello appena iniziato è l’anno di don Luigi Sturzo: l’8 agosto sarà ricordato il 60° anniversario della morte e il 18 gennaio ricorre il centenario della fondazione del Partito Popolare Italiano e dell’appello “ai liberi e forti”.
Sturzo nel 2019 sarà ricordato in molti parti d’Italia, ma nella sua Sicilia (era nato a Caltagirone) e a Roma in particolare, presso l’“Istituto Luigi Sturzo” di via delle Coppelle, principale istituzione scientifica dedicata allo studio della vicenda sturziana e della storia del movimento cattolico italiano.
Il doppio anniversario del 2019 è occasione per recuperare la memoria dell’impegno civile di Sturzo come per rivisitare una stagione politica che non poche analogie va mostrando con quella odierna. Occasione, soprattutto, per recuperare il senso del popolarismo sturziano, che torna ad essere invocato da alcuni osservatori come efficace antidoto contro i populismi di varia matrice che oggi imperversano in Parlamento, negli altri spazi di pubblico confronto, nelle piazze, nelle tv, sui social.
Anche per la Chiesa italiana sarà l’occasione propizia per valorizzare la lezione e la testimonianza di Sturzo, il quale investì – nel farsi carico dei problemi sociali e politici del suo tempo – la propria sensibilità credente e la propria comprensione delle esigenze etiche e delle spinte spirituali contenute nel Vangelo. Va ricordato che si è conclusa da poco più di un anno la fase diocesana del processo canonico per la sua beatificazione, iniziato a Roma nel 2002.
Può stupire che si voglia verificare la possibilità di guardare a Sturzo anche come a un santo, specialmente se si pensa che egli fu un prete “multitasking”, immerso in tante fatiche apparentemente estranee al ministero sacerdotale, intento per esempio – come lui stesso ricordava – a capeggiare una manifestazione di migliaia di contadini per rivendicare i patti agrari, o a dar vita a cooperative di lavoro a fondare banche popolari, a istituire scuole di formazione agraria. Ma il fatto è che ocn lui si affermò una spiritualità “civica”, che nel Novecento avrà i suoi testimoni nelle fila del laicato cattolico. Si ricordino: il sociologo Giuseppe Toniolo , il sindaco di Firenze Giorgio La Pira , il rettore dell’Università Cattolica Giuseppe Lazzati, lo statista Alcide De Gasperi.
SPIRITUALITA’ CIVICA
Il significato della spiritualità civica emerge dalla biografia di Sturzo. La Rerum novarum di Leone XIII (maggio 1891) conteneva un invito che sarebbe presto diventato una sorta di refrain in seno all’associazionismo cattolico: “Uscire dalle sagrestie”. Possiamo paragonare questo input pastorale all’odierno "Chiesa in uscita" di Papa Francesco, una Chiesa proiettata verso le “periferie umane ed esistenziali”. Tre anni dopo la pubblicazione dell’enciclica, nel maggio 1894, Luigi fu ordinato presbitero: aveva già assimilato l’imperativo leoniano, disponendosi a ripensarlo lungamente negli anni successivi.
Da questo humus germogliò il programma proposto da Sturzo, incentrato – come lui spiegò nel dicembre 1918, in una delle riunioni preparatorie del PPI – sulla disponibilità “a scendere nell’agone sociale e politico con il Vangelo nascosto in petto”: senza etichette, senza stendardi, laicamente potremmo dire (aconfessionalmente, preferiva insistere lui), ma con l’intima aspirazione a recuperare la coerenza tra l’esperienza spirituale, lo slancio pastorale e la presenza sociale.
In questa prospettiva, Sturzo considerò la militanza socio-politica come una maniera “altra” di vivere il servizio pastorale, come un nuovo modo di “essere prete”, oltre che di “fare il prete”.
Già nei primi anni del Novecento era stato invitato più volte da suo fratello Mario (che nel 1903 era diventato vescovo di Piazza Armerina) a dare un suo contributo pedagogico per i seminaristi di quella diocesi. E don Luigi, scrivendo per i seminaristi, aveva avvertito la necessità di una rinnovata spiritualità, più radicale rispetto a quella di impronta devozionale a cui spesso gli aspiranti presbiteri venivano educati.
Una spiritualità che strattonava il prete fuori dalle sagrestie, ma non per gettarlo sulla ribalta sociale, in mezzo agli affari economici o alle lotte politiche. Piuttosto per ricondurlo al cospetto di Dio e a un rapporto personale col Signore che andava ricercato e ritrovato anche in ambito sociale, in mezzo al mondo, giacché il mondo è il posto di Dio a seguito dell’Incarnazione.
Sturzo annotava: “Non bisogna creare colli torti, né ipocriti tristi, ma sacerdoti il cui ministero comporta attività per il popolo in tutte le ore, in tutti i momenti, sempre pronti a lasciar Dio per Dio”. Quest’ultima frase era una citazione che don Luigi attribuiva a san Francesco di Sales e che più precisamente risale a san Vincenzo de’ Paoli: in ogni caso a dei campioni della santità moderna, ormai sporgente fuori dai conventi e dai monasteri, mescolata tra la gente. Da questa spiritualità don Luigi si lasciava spingere sin dentro le fabbriche, nelle miniere, nelle campagne, tra gli zolfatari e i contadini siciliani. Ma anche dentro i consigli comunali e nei municipi, con l’intenzione di arrivare persino in Parlamento, superando il non-expedit e risolvendo una buona volta la questione romana, reinserendo attivamente i cattolici italiani nella politica per il bene comune dell’intero Paese.
La spiritualità civica di Sturzo restava pienamente compatibile con il suo ministero sacerdotale, ma non si rassegnava a rimanere intimistica o levitica, esclusivamente interna a un orizzonte sacrale. Sostenuta da una salda consapevolezza samaritana, tendeva piuttosto a zampillare da una fontana posta al centro della città. Voleva radicarsi sul piano sociale, respirando l’afflato della passione civile.
Lo spiegava bene lo stesso don Luigi, nel 1926, esule a Londra, in una lettera a Ernesto Callegari: “Quasi trent’anni di mia attività per la democrazia cristiana, nel lavoro di carattere municipale, scolastico, sociale e politico, per me è stato ed è ancora esplicazione di apostolato religioso e morale. Non avessi avuto questa convinzione e queste finalità, non avrei potuto conciliare le mie attività con il mio carattere sacerdotale e con la mia aspirazione unica di servire Dio”.
Massimo Naro (SIR)
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