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17 gennaio, Sant'Antonio abate: chi era e perché il nostro territorio lo ha rcordato tanto

Un tempo i santini dell'abate col porcello erano affissi alle porte delle stalle. Ora restano disseminate per le campagne tante chiesette, oratori e pure parrocchiali

17 gennaio, Sant'Antonio abate: chi era e perché il nostro territorio lo ha rcordato tanto

Sant’Antonio abate è per l’Oriente l’ascetico eremita del deserto, per l’Occidente il protettore degli animali e dell’abbondanza alimentare. Si celebra liturgicamente il 17 gennaio.
Nacque a Coma in Egitto nel 251, da genitori cristiani benestanti. Rifiutò tuttavia un’istruzione superiore, anche se sapeva leggere e scrivere. Rimasto senza genitori verso i 18 anni, con una sorella minore da accudire, cercò la sua via, applicando alla lettera l’invito di Gesù "Se vuoi essere perfetto va’ distribuisci ai poveri ciò che hai...e seguimi".
Affidò la sorella alle cure di alcune vergini e si mise a praticare la vita ascetica, prima poco distante dal suo villaggio, poi sempre più lontano. A 35 anni fu in un fortezza deserta a est del Nilo, dopo 20 anni si ritirò sul monte Pispir per sfuggire alla massa di visitatori. Infine si ritirò in una regione montana non lontana dal Mar Rosso.
Divenne così il patriarca del monachesimo.
Non perse tuttavia mai nella sua lunga vita i contatti con il mondo esterno. Il metropolita di Alessandria si giovò del suo ascendente sia per confortare i Cristiani durante le persecuzioni di Massimino Daia, sia per ottenere l’appoggio in difesa dell’ortodossia stabilita dal Concilio di Nicea che combatté l’eresia ariana. Ebbe rapporti anche con l’imperatore Costantino.
Fu sepolto in un luogo rimasto segreto fino al 561, anno in cui le sue reliquie cominciarono a essere traslate ad Alessandria, a Costantinopoli, fino all’undicesimo secolo quando arrivarono in Francia a Motte - Saint Didier, dove si conservano in una chiesa costruita in suo onore.
Lasciò a testimonianza della sua fede 120 detti e 20 lettere. Fu Sant’Atanasio di Alessandria a far conoscere la vita di Sant’Antonio Abate, padre dei monaci in Oriente come in Occidente. "Vita di Antonio. Detti, lettere", introduzione, traduzione e note di Lisa Cremaschi, Milano, Paoline, 1995. La traduzione latina della Vita fu fatta da Evagrio di Antiochia, morto dopo il 392. Si trova in Patrologia Greca, XXVI, 838-975 e in Patrologia Latina, LXXIII, pp. 126-94.

LA DEVOZIONE NEL MONDO AGRICOLO

Sant’Antonio Abate fin dall’epoca medievale viene invocato nel mondo occidentale come protettore degli animali domestici.
E’ rappresentato in abito monastico, con il bastone a Tau, simbolo degli eremiti e la campanella. La Tau è l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico, allusione all’attenzione del Santo alle cose ultime della vita, l’aldilà. Senza quindi gli ornamenti usati per indicare il grande asceta che ritroviamo in certa iconografia meno popolare. Non manca mai di reggere un libro in mano, ai suoi piedi il classico maialino o un cinghiale e anche altri animali domestici. Questa iconografia e l’invocazione a Sant’Antonio Abate come protettore degli animali domestici, macellai e salumai, contro ogni tipo di contagio e soprattutto contro l’Herpes zoster, popolarmente noto come "Fuoco di Sant’Antonio" si devono in parte al trasferimento delle sue spoglie in Francia.
Proprio in Francia nacque l’ordine monastico degli Antoniani e molti pellegrini si recavano presso le spoglie del Santo per guarire. I monaci ungevano i malati con il grasso dei maiali che avevano avuto dal Papa il privilegio di allevare e che giravano liberi per i cortili contrassegnati da un campanellino. Da tutto ciò derivano il celebre detto "El porsel de Sant’Antonio" per indicare uno che va sempre in giro, e l’iconografia sopra citata. Secondo la tradizione, gli animali domestici, non solo cani e gatti ma soprattutto quelli della tradizione contadina, il 17 gennaio venivano portati nelle piazze dei paesi per essere benedetti. In altre località già alcune settimane prima il parroco, accompagnato dal sagrestano e da un chierichetto, si recava in ogni cascina o stalla per benedire gli animali, spostandosi a piedi o in bicicletta.
Una volta giunto nell’aia, il parroco si recava nella stalla ( dove solitamente venivano riuniti gli animali, compresi cani e gatti) e, dopo aver recitato con la famiglia contadina il Padre Nostro, con una benedizione implorava l’intercessione di Sant’Antonio Abate affinché mantenesse in salute gli animali. Nella benedizione venivano raccomandati anche i componenti della famiglia, affinché non fossero colti da malanni, le case, perché fossero risparmiate dagli incendi e i campi, perché producessero. Il parroco, dopo il rito, lasciava il calendario di Sant’Antonio Abate - sul quale di annotavano scadenze ed impegni dell’ annata agraria - e alcune immagini del Santo, che venivano prontamente collocate nei luoghi di ricovero degli animali, quali la stalla, il pollaio, la porcilaia. Ricordiamo di aver visto fino a tempi recentissimi immagini di Sant’Antonio Abate nelle malghe dei nostri monti.

NEL NOSTRO TERRITORIO

Durante la Visita apostolica del vescovo di Parenzo Cesare Nores alla nostra diocesi, datata 1584, furono 671 gli altari censiti. Dopo quelli dedicati alla Madonna, vengono subito 37 dedicati a Sant’Antonio Abate, 27 a San Rocco... Delle 262 chiese e oratori (senza cura d’anime tranne quello di Pravisdomini), 11 erano dedicati a Sant’Antonio Abate.
Il tutto sta a indicare il grande culto che nella Diocesi per il Santo invocato a proteggere animali, raccolti, case dagli eventi atmosferici.
Di quelle chiese e oratori molti sono ancora esistenti, e se un tempo si trovavano in aperta campagna ora sono più prossimi agli abitati.
A Nave, Comune di Fontanafredda, una chiesetta campestre dedicata al Santo è datata 1342.
A Sant’Alò nella bassa pianura, dove le paludi avevano la meglio, in luogo di precedenti chiese nel 1947 l’arciprete don Giuseppe Gardonio, che tanto fece per San Stino, Sant’Alò, Biverone e le Sette sorelle, inaugurò la chiesa dedicata a Sant’Antonio Abate nel 1947, la consacrò il vescovo De Zanche nel 1966.
A Orcenico Inferiore parrocchiale dedicata ai Santi Antonio Abate e Ulderico.
A Barbeano oratorio trecentesco dedicato a Sant’Antonio Abate con affreschi di Gianfrancesco da Tolmezzo.
Antico Oratorio anche a Teglio Veneto (1477). La comunità fin dalle origini era legata alla confraternita di Sant’Antonio. Nel tempo l’oratorio fu ampliato con portico in stile rinascimentale. Lì si incontravano i capifamiglia per discutere dei problemi della comunità.
Celebre Oratorio anche a Versutta (Casarsa) recentemente restaurato anche all’esterno nella parete sud.
Oratorio a Roveredo in Piano, dove si venerano entrambi i Santi di nome Antonio, l’Abate e quello di Padova.
A Pravisdomini parrocchiale dedicata a Sant’Antonio Abate con pala dell’Amalteo: Cristo risorto tra Sant’ Antonio e San Giovanni Battista. Un Sant’Antonio Abate ottocentesco, di fattura minore in altra pala, è stato restaurato da Giancarlo Magri nel 1986. Chiesa consacrata nel 1488.
Il Santo delle stalle, spesso così è chiamato, è patrono anche di Tramonti di Mezzo, la chiesa fu consacrata nel 1760, ma il culto al Santo è precedente alla visita del Nores.
Il Santo è patrono di Mezzomonte in comune di Polcenigo.
A Valvasone Arzene antica chiesetta dedicata agli apostoli Pietro e Paolo e a Sant’Antonio Abate, in luogo di una precedente dove aveva sede un ospitale. All’interno l’opera maggiore di Pietro da Vicenza. Tra i Santi anche Antonio abate.
Parrocchia dedicata a Sant’Antonio Abate in via Pasch a Cordenons, già inglobata in Santa Maria Maggiore.
Una piccola chiesette dove ogni anno il 17 gennaio si ripete la tradizionale benedizione degli animali è quella di Sant’Antonio Abate del Lunghet.
Poco si sa della graziosa chiesetta di fine Ottocento, sulla riva del Muiè, tra la località Crociera e Casasola, in comune di Frisanco. Negli archivi parrocchiali si riporta la lunga lista di fedeli emigrati in Colorado, che contribuirono alla sua realizzazione.
A Pordenone, addossata a Casa Ferraro, sul lato sinistro del duomo concattedrale di San Marco sorgeva la celebre chiesa di Sant’Antonio ab incarnario. Antecedente al 1254 fu demolita nel 1895 perché divenuta deposito di attrezzi del duomo. Era affrescata dentro e fuori. All’estreno oltre a una Santa Caterina da Siena, una Vergine allattante in trono con San Giacomo Maggiore, Sant’Antonio Abate e San Francesco. I due affreschi furono staccati da Giancarlo Magri nel 1962 e donati alla Pinacoteca civica, poi Museo. L’opera fu danneggiata dal terremoto del 1976. Nel 2011 dopo a 49 anni dallo stacco l’affresco è stato restaurato sempre da Giancarlo Magri.

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