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Un anno di guerra in Ucraina: intervista a Nello Scavo inviato di Avvenire

"Questa è una guerra matrioska": un conflitto con all’interno tanti conflitti

Un anno di guerra in Ucraina: intervista a Nello Scavo inviato di Avvenire

Un anno fa, a metà febbraio 2022, Nello Scavo, inviato speciale di Avvenire e tra i più esperti corrispondenti di guerra italiani, giungeva a Kiev quando la minaccia di un attacco russo si faceva sempre più insistente, ma ancora in pochi credevano davvero possibile un’invasione militare. E Scavo decideva coraggiosamente di rimanere in Ucraina per raccontare "dal di dentro" questo conflitto nel cuore dell’Europa. Nella primavera scorsa Scavo ha anche scritto un libro sul primo mese di guerra, intitolato Kiev, dedicato alle cause di questo conflitto, alle conseguenze politiche ed economiche, al racconto del dramma umano, dando voce a coloro che questa tragedia sono costretti a subirla.

Ad un anno dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, come sintetizzare quel che è accaduto in 12 mesi di guerra?
Questa guerra non si può e non si deve sintetizzare, perché è piena di complessità e di contraddizioni che meritano di essere approfondite tutte. Per questa ragione è necessario guardare a quello che è accaduto nell’ultimo anno con realismo e con la consapevolezza che quando parliamo della guerra in Ucraina non stiamo parlando solo della guerra in Ucraina. Questo è un "conflitto matrioska" all’interno del quale ci sono altri conflitti. Basti dire che nelle legioni internazionali stanno da una o l’altra parte si trovano combattenti che hanno a che fare con guerre avvenute o imposte negli ultimi dieci anni: con gli ucraini ci sono miliziani della Georgia, dell’Ossezia, della Cecenia che in passato sono stati sconfitti da Putin ed ora hanno l’occasione per vendicarsi del torto subito; questi si ritrovano dall’altra parte dei connazionali - ceceni, ossezi, georgiani, abkhazi, azeri, ecc. - che invece hanno sposato la causa di Putin. Questo è solo un esempio di quanto sia complessa e complicata questa guerra.
Quali gli effetti a livello internazionale?
Sono cambiate per sempre le relazioni internazionali, almeno per come le conoscevamo. E gli effetti non si sono ancora visti del tutto. Però sono significative.
Ad esempio, le posizioni di Cina e India, che ufficialmente sostengono Putin ma in realtà hanno fatto mancare parte dell’assistenza militare che lui avrebbe desiderato: dimostrano come ci sia la volontà di non scardinare il "sistema" ma, nello stesso tempo, di ridimensionarlo. Questi Paesi sono preoccupati dalle ambizioni di Putin.
In Europa, invece, si sono create delle divisioni, ad esempio sull’invio delle armi. Dopo esserci stato tante volte, io sono tra quelli che sostengono che alla guerra non si può rispondere con i fiori; capisco la necessità della popolazione di difendersi. Ma bisogna assolutamente aggiungere una "offensiva" diplomatica che fino ad ora è mancata o non ha centrato l’obiettivo.
Io dico "armi sì", purché questo sia accompagnato da un progetto diplomatico senza assistenza militare. Conosco Putin e tutte le sue guerre, e non c’è stata una sola di queste guerre che sia finita con un trattato di pace se non dopo che lui aveva ottenuto quello che voleva.
Lei ha seguito anche altre guerre. Cosa caratterizza questo conflitto rispetto ad altri?
Questa è una guerra mondiale combattuta in un perimetro apparentemente ristretto, però con ricadute internazionali che sono si sono mai viste in altri conflitti, né quello siriano, né quello afghano. Ha avuto l’effetto di complicare le relazioni internazionali e di rendere instabili interi "quadranti", con ricadute così vaste anche su altri tavoli negoziali e sulle vite e sulla quotidianità dei cittadini europei e non solo europei.
A un anno dallo scoppio, come stanno vivendo oggi gli ucraini la guerra?
In quest’anno c’è stata un’evoluzione che si potrebbe dividere in tre momenti. Il primo è stato di shock, di disorientamento e la popolazione ha considerato questo attacco come un attacco personale di Vladimir Putin e considerava nemico non il popolo russo ma il capo del Cremlino. E speravano di ottenere una solidarietà o una reazione da parte del popolo russo.
In seguito, non avendo visto questa reazione, per gli ucraini il nemico è diventato il popolo russo, la Russia intera, perché si sono sentiti abbandonati, traditi, e perché continuano ad arrivare dalla Russia soldati per combattere.
Ora, per paradosso, con l’inverno che è stato ed è durissimo, con temperature fino a -20, gli ucraini sono stanchi, esausti, ma per niente rassegnati. Quindi continueranno a combattere finché sarà possibile.
Quale via potrebbe essere percorribile per fermare questa guerra con il dialogo, il negoziato?
A questa domanda non rispondo perché penso che i nostri ruoli siano diversi... Certamente dei negoziati ci sono, ma sotterranei, e finora hanno portato solo a scambi di prigionieri. Spero che si trovino momenti pubblici in cui, al di là dei negoziati che si fanno nei retrobottega delle cancellerie, l’opinione pubblica sappia che si sta cercando di approdare a qualcosa.
Al tempo stesso penso che occorra fare quel che non si fa mai in queste situazioni: dare una speranza di giustizia alle vittime. Se non si rende giustizia alle vittime di questa guerra, anche se dovesse finire a breve, in qualche modo si perpetuerà nelle prossime generazioni, perché ogni occasione verrà utilizzata per regolare vecchi conti.
Secondo lei, quante possibilità ci sono di un allargamento del conflitto che sfoci in una guerra mondiale?
In questo momento nel mondo ci sono 100 milioni di profughi di guerra. Di questi, 12 milioni sono ucraini e 88 milioni di altre nazioni a causa di altri conflitti. Ciò significa che le guerre sono a vasta scala in tutto il mondo, solo che non abbiamo la capacità di vederle globalmente. Che questa guerra possa trascinare a un’estensione è una possibilità, ma non è detto che a convenga alla Russia, se non nel caso di un Putin messo all’angolo, disperato, che potrebbe reagire con una scelta dissennata. In questo caso la speranza è che vi sia una compagine militare che possa operare con un po’ di buon senso perché questo non accada.
C’è il pericolo che si arrivi all’uso di armi nucleari?
Sull’uso di un’arma nucleare da un punto di vista tecnico, militare, non avrebbe alcun senso nel quadrante ucraino, perché le radiazioni, anche nel caso di un’arma a bassissima intensità, finirebbero anche in Russia, in Bielorussia e in Crimea. Però non si può escludere che possa esserci qualche gesto simbolico, come lanciarne in mare, al largo, per avvelenare la parte occidentale del Mar Nero, per creare problemi all’Ucraina, ma anche alla Romania, alla Bulgaria, che sono schierate apertamente contro la Russia.
Oppure il conflitto potrebbe avere uno sviluppo d’altro tipo, con Putin che fa altrove quel che non può fare in Ucraina, con una serie di piccole "bombe a orologeria" che lui può far esplodere intorno all’Europa, dove ci sono situazioni che destano preoccupazione - in Libia, in Kosovo, in Serbia - per costringerci a vivere sotto costante ricatto della violenza.

Franco Pozzebon

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