Referendum costituzionale, riforma nata per un sentimento anti casta
Oltre agli aspetti costituzionali, contano quelli morali
A fine settembre ci attende il referendum confermativo per la modifica agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione che prevede il taglio dei parlamentari da 945 a 600. Circolano ormai diversi pareri tecnici, specie da parte dei Costituzionalisti, che è utile esaminare. Ci sono però anche alcuni aspetti morali che accompagnano lo “spirito” di questa iniziativa, che è importante considerare. La modifica, non dobbiamo dimenticarlo, nasce anzitutto da un sentimento “anti-casta”, sorto e dilagato non tanto a causa dell’inefficienza del sistema legislativo – che è e rischia di rimanere un problema oggettivo – quanto dall’idea che le lentezze siano dovute all’indolenza dei rappresentanti eletti, ai quali starebbe a cuore unicamente lo stipendio da parlamentare e non il bene comune. Da questo rimprovero generalizzato di parassitismo – perché di questo si tratta – viene la reazione di tipo punitivo che anima il provvedimento: “Siccome la casta non si muove da lì, almeno ne mandiamo a casa un po’. Perché dobbiamo spendere per gente che non fa nulla se non i propri interessi?”. Non ragiona diversamente chi propone, come alternativa, la riduzione dei compensi anziché del numero dei rappresentanti: si tratta sempre di una prospettiva di rivalsa, che guarda al (male) passato ma che non introduce nulla di più virtuoso quanto al futuro.
In termini di risparmio, del resto, le cifre sono marginali: si stimano circa 57 milioni di euro all’anno, che incidono per lo 0,007% sulla spesa pubblica. Nulla di decisivo sul fronte economico, dunque.
Nulla di decisivo però neppure sul fronte dell’efficienza del sistema legislativo: qui sappiamo che il vero nodo rimane il “bicameralismo perfetto”, che non viene toccato. A funzionamento invariato, la riduzione del numero dei parlamentari al momento significa solo una cosa, ovvero un aumento del lavoro di ciascun rappresentante nelle commissioni. Difficile pensare che questo si traduca in un miglioramento dell’operatività, più probabile che significhi un ulteriore rallentamento dei lavori e quindi un danno per il Paese.
Perché allora, a fronte di problematiche certe e di miglioramenti inesistenti, una modifica di questo tipo rischia di venire approvata con facilità, dato che il referendum confermativo non necessita di raggiungere un quorum di partecipanti?
Per il motivo di cui sopra: perché nasce da un risentimento generalizzato verso la politica e i politici, e rispetto a questo sentire è difficile che prevalgano argomenti di tipo tecnico.
Forse però c’è (anche) un altro modo per riflettere su tema. C’è una domanda che potremmo farci per meditare sull’animus con cui stiamo guardando a questo referendum, per provare a mettere fuori campo l’eventuale risentimento e concentrarci sul merito della modifica su cui ci esprimeremo. Quel che semplicemente potremmo chiederci è se abbiamo un’idea concreta di quali siano gli impegni di una persona eletta e in che modo questi si traducano in un beneficio per la comunità. Chiunque presti un servizio pubblico rappresenta un costo, ma il punto è quale sia il frutto di quel costo in termini di bene comune. Non possiamo ragionare a priori come se la vita di un rappresentante consistesse in un lauto stipendio ottenuto mensilmente senza muovere un dito, salvo quello che serve sporadicamente per esprimere un voto in emiciclo. Che per alcuni, forse tanti, così sia e così sia stato è una questione morale, ma la disonestà personale nell’adempiere a un servizio pubblico non significa l’inutilità di quel servizio. Dunque: di cosa è chiamato/a a occuparsi un/a parlamentare? Cosa dovrebbe conoscere e studiare meglio di un privato cittadino? Che rapporto dovrebbe avere con il territorio da cui proviene? Quali iniziative dovrebbe promuovere per valorizzare la partecipazione dei cittadini alla vita democratica al di là dell’occasione di espressione del voto? Facciamoci un’idea, confrontiamoci con chi ha svolto con dignità e impegno questo compito di rappresentanza e mettiamo a fuoco anzitutto il lavoro che il ruolo richiede. Ed esigiamo che sia svolto come prevede la Costituzione: con disciplina e onore (art. 54). Forse da qui potrà riprendere forza l’idea che di persone capaci e impegnate è meglio averne qualcuna di più che non qualcuna di meno.
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