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Populismi ridimensionati dalla Pandemia

Davanti ai problemi reali vincono le istituzioni

Populismi ridimensionati dalla Pandemia

La pandemia ha avuto come effetto collaterale sul piano politico, almeno nei Paesi ad effettiva dinamica democratica, una battuta d’arresto se non un vero e proprio ridimensionamento della corrente populista che si era affermata negli ultimi anni anche in termini di consenso elettorale. Di fronte alla drammatica concretezza del contagio, le parole d’ordine della demagogia hanno perso capacità attrattiva e potenziale divisivo. Posta di fronte a un problema reale, non alimentato né distorto dalla propaganda sostenuta dall’uso massiccio di media sia nuovi che tradizionali, l’opinione pubblica si è quasi istintivamente ritrovata intorno alle istituzioni comuni e ha espresso un forte bisogno di reciproca solidarietà.
Adesso, però, la pressione del Covid-19 si è notevolmente allentata in Europa, e nel nostro Paese in particolare, mentre si fanno sentire più pesantemente le conseguenze sociali ed economiche, che colpiscono in misura non omogenea le popolazioni e i territori. Una situazione in cui, in mancanza di correttivi efficaci e tempestivi, il populismo può fare nuovamente breccia. I segnali in questo senso purtroppo non mancano. A partire dall’uso strumentale del tema dell’immigrazione, quasi scomparso dallo scenario politico nelle fasi più acute della pandemia e ora prontamente riemerso dall’arsenale ideologico delle forze che su di esso hanno costruito buona parte delle loro fortune. Altro tema da monitorare con attenzione è quello dell’anti-europeismo, che a differenza dell’immigrazione è stato ben presente nei mesi dello tsunami virale, soprattutto a causa del ritardo con cui la Ue si è fatta carico unitariamente di una crisi che per definizione non era affare dei singoli Stati. Adesso che la risposta europea, peraltro anticipata dall’intervento della Bce che è stato decisivo per un Paese ad alto debito pubblico come l’Italia, si va finalmente concretizzando e in una misura senza precedenti, le pulsioni anti-europeiste non sembrano affatto affievolirsi. Anzi. Il che dimostra ancora una volta l’elevato tasso di ideologia che è alla radice di certe posizioni.
Un altro segnale indicativo, anche se relativo a una questione infinitesimale rispetto agli altri temi, è venuto in questi giorni dalle reazioni incandescenti alla vicenda dei vitalizi dei parlamentari. Vicenda estremamente più complessa di come venga abitualmente rappresentata (i vitalizi sono stati aboliti nel 2011, ora si discute del taglio retroattivo dei trattamenti già in essere), ma che vale la pena tenere in evidenza per il contenuto di anti-parlamentarismo che può esserle associato. Una torsione del tema estremamente pericolosa tanto più se si tiene conto che in settembre gli italiani saranno chiamati a votare per il referendum sulla riduzione di deputati e senatori e c’è il rischio che la consultazione non sia il completamento ordinato di una riforma costituzionale approvata proprio dal Parlamento, ma si trasformi in un’esaltazione dell’anti-politica. Invece il Paese ha un gran bisogno di politica. Di buona politica, quella che sa ascoltare tutti, valorizzare il confronto e poi decidere avendo come bussola non gli interessi particolari, ma il bene comune.

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