Israele e Hezbollah: Deir Mimas, villaggio cristiano in Libano tra due fuochi. P. Toufic (Custodia): “Bombe vicino al convento. La gente ha paura, grida ‘basta!'”
“La situazione che stiamo vivendo è drammatica. Il nostro villaggio domina il fiume Litani che scorre più in basso nella valle" dove sono rintanati i miliziani di Hezbollah. A raccontarlo al Sir è il superiore del convento francescano di Tiro
“La situazione che stiamo vivendo a Deir Mimas è drammatica. Il nostro villaggio domina il fiume Litani che scorre più in basso nella valle” dove sono rintanati i miliziani di Hezbollah. “Siamo a due chilometri dalla città israeliana di Metula e della vicina Kyriat Shmona, proprio sul confine tra Israele e Libano. Deir Mimas conta 3.000 abitanti, tutti cristiani di varie denominazioni, cattolici, ortodossi, greco-cattolici e protestanti. Di questi 1200 vi risiedevano tutto l’anno. Oggi, a causa della guerra, se ne contano solo 180. Lungo la valle si trova un altro centro abitato, Kfarkela, quasi del tutto raso al suolo dai bombardamenti”.
A raccontare al Sir la storia di questo villaggio libanese è padre Toufic Bou Mehri, superiore del convento francescano di Tiro. Un legame forte tiene unito il frate della Custodia a Deir Mimas dove ogni domenica si reca in auto da Tiro, distante 30 chilometri, a dispetto di razzi e bombe, per celebrare messa con i pochi fedeli rimasti e per consegnare frutta e verdura fresca ai più in difficoltà. Ma assistiamo, con il mio confratello padre Pierre, anche chi si è rifugiato a Beirut per la guerra”.
Tra due fuochi. Un villaggio tra due fuochi, da una parte le bombe israeliane e dall’altra Hezbollah con i suoi razzi. “La paura è tanta – afferma il frate della Custodia di Terra Santa -. Il panorama di Deir Mimas è sempre più segnato da colonne di fumo che si innalzano dopo ogni lancio di bombe e razzi tra l’esercito di Israele e le milizie di Hezbollah.
Le croci che ornano le case e i campi dei cristiani di qui sono come una difesa contro il male e ‘un atto di affidamento a Dio’ di tutto il villaggio.
In questi giorni le bombe sono cadute a poche centinaia di metri dalle prime case e dal nostro piccolo convento. Nelle settimane scorse razzi e bombe cadevano nei campi, ora hanno accorciato il raggio di tiro”. Per scongiurare l’escalation di questa guerra le diplomazie sono impegnate per ottenere un ripiegamento di Hezbollah filoiraniano verso nord, oltre la riva settentrionale del fiume Litani. Ma finora senza esito.
Campi bruciati. “Chi ha potuto lasciare queste zone è andato a Beirut – spiega padre Toufic –, così qui sono rimasti i più poveri e vulnerabili. Da un po’ di settimane, però, stiamo assistendo al rientro di qualche famiglia che non è più in grado di sostenersi economicamente nella capitale libanese. Si tratta di una decisione significativa: scegliere di morire con dignità nel villaggio in cui si è nati e non morire di fame altrove”. Con la guerra, adesso nel villaggio si è aggiunto un altro problema. A spiegarlo al Sir sono alcune fonti locali che vogliono restare anonime: “Qui a Deir Mimas viviamo di agricoltura e di uliveti, di olio. Nel 2023 il villaggio è stato premiato come migliore produttore di olio del Libano”.
“Quest’anno avremo molte difficoltà a vendere le nostre olive e il nostro olio perché sembra che da Israele abbiano lanciato anche bombe al fosforo. Lo scopo sarebbe quello di bruciare i campi nei quali si nascondono le milizie di Hezbollah”.
Nella stessa palude di Gaza. “In Libano siamo nella stessa palude di Gaza dove la gravità e l’intensità della guerra è certamente superiore rispetto a ciò che vediamo qui al confine tra Israele e Libano – ammette padre Toufic -. Nel Paese dei Cedri oltre 120mila libanesi sono sfollati dalle zone di frontiera e chi resta non lo fa per amore del rischio ma perché non ha soldi. Le condizioni materiali, sociali, politiche in cui versa il Paese dei Cedri – fallito economicamente – sono gravissime. Ci sono poi anche 2 milioni di rifugiati siriani e 500 mila palestinesi. Manca tutto, anche la sicurezza. Si vive in un rischio continuo. La gente grida ‘basta!’, non ce la fa più. Specialmente la popolazione del Sud del Libano. Qui la gente è umanamente vicina ai fratelli di Gaza, ma si chiede perché deve pagare la fattura di una guerra che nessuno vuole. Qui vogliono solo vivere in pace e con dignità”.
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