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Il voto degli italiani all'estero torna di attualità

Cosa cambierebbe con l’approvazione del referendum rinviato

Il voto degli italiani all'estero torna di attualità

Contemporaneamente alle prospettive di riforma elettorale, dopo l’approvazione, referendum (e Covid-19) permettendo, della legge costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari, si sta ragionando a lungo anche sul discorso del voto estero. Premesso che, in base alla normativa vigente il diritto di voto è assicurato a tutti gli italiani all’estero che non abbiano rinunciato alla cittadinanza italiana e non si trovino in una delle cause di esclusione dall’elettorato attivo previste dalla legge, ci si chiede, innanzitutto, se la scelta fatta dal legislatore della modalità di voto per corrispondenza, con scrutinio in Italia, sia idonea a tutelare la segretezza del voto, ma in molti casi anche la personalità e la libertà del medesimo. Presupposto che può esserci solo quando il voto si esprima personalmente all’interno di un seggio. Ma le riserve giuridiche, circa la possibile violazione del principio costituzionale della segretezza del voto, sono state superate in Parlamento, durante l’iter di approvazione della legge (c.d. “Tremaglia”) sul voto all’estero, sostenendo che la sua tutela si affievolirebbe di fronte alla necessità di assicurare, comunque, “l’effettività” del voto dei nostri connazionali residenti fuori dal territorio italiano. Sul versante, poi, dell’opportunità, lo asseriscono addirittura molti dei nostri connazionali emigrati, si sostiene che “chi è nato all’estero o vi risiede stabilmente, non paga le tasse, non ha fatto il servizio militare, spesso è materialmente disinteressato a ciò che accade nel paese d’origine e non si capisce perchè debba, con il suo voto, indirizzare leggi finanziarie, di bilancio, previdenziali, o le politiche militari e altre, quando, magari, non ha mai messo piede in Italia”. Molti Stati, infatti, richiamandosi al  grido dei coloni americani contro il governo di Giorgio III per l’odiosa tassa sul tè “no taxation without representation”, conservano il diritto di voto ai loro emigrati all’estero solo se continuano a pagare le tasse anche nello Stato da cui sono espatriati. Per superare e ovviare a queste dispute, uno degli scenari, comune alle molte proposte  parlamentari, presentate alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica, di revisione  della legge  che consente agli italiani residenti all’estero di votare per le elezioni politiche e ai referendum per corrispondenza,  è di chiedere, come peraltro già avviene in molti Paesi europei, a chi riceve a casa il plico con la/le scheda/e di voto, di dichiarare espressamente l’interesse a riceverlo, perchè vuole votare per la Circoscrizione estero. La soluzione di una domanda ad hoc farebbe di certo calare il numero del corpo elettorale che vota nella Circoscrizione estero, però renderebbe quasi certamente più sicuro ed efficace tutto il sistema del voto per corrispondenza all’estero. Anche perchè, ciò è solo in parte vero, in quanto i dati di partecipazione, dell’Area Estero, non sono proprio incoraggianti: - Referendum 15/06/2003: Elettori 2.359.807 - Votanti 544.179 pari al 23,06%; - Camera 09/04/2006: Elettori 2.707.382 – Votanti 1.053.864 pari al 38,93 %; - Camera 04/03/2018: Elettori 4.230.854 - Votanti 1.262.422 pari al 29,84 %. La modalità di voto subordinata a una esplicita domanda dell’elettore (è chiedere troppo?) garantisce, in ogni caso, il diritto costituzionalmente garantito a tutti i cittadini italiani residenti all’estero di votare, assicurando nel contempo speditezza e soprattutto certezza (cosa che adesso manca) nelle e delle procedure, aggravate dal fatto che, nel momento in cui si cominciò ad applicare la “legge Tremaglia” gli elettori erano poco più di 2.300.000. Mentre, adesso, siamo a cifre quasi doppie ed è evidente la difficoltà dell’invio di oltre quattro milioni di plichi in tutto il Mondo.

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