Il bene della libertà, il dovere della responsabilità
La speranza è che la lotta alla pandemia sia davvero a un punto di svolta
La speranza di tutti, non di questa o di quella fazione, è che la lotta alla pandemia sia arrivata davvero a un punto di svolta. Non alla fine, beninteso, ma a uno snodo decisivo del percorso verso il superamento dell’emergenza. La situazione sul campo non si presta a letture univoche e universalmente valide. Mentre il governo italiano decideva le riaperture, per esempio, in Germania la cancelliera Merkel pronunciava davanti al parlamento un discorso di grande allarme. In casa nostra, invece, la valutazione concreta delle dinamiche in atto ha indotto l’esecutivo ad affrontare quello che lo stesso Draghi ha definito “un rischio ragionato”. Da un lato ci sono l’andamento epidemiologico in fase discendente e i progressi della pur complessa campagna vaccinale, dall’altro un disagio economico-sociale crescente, soprattutto nei settori più penalizzati dalla pandemia, e una generalizzata stanchezza nella popolazione. A fronte di questo quadro va dato atto al governo di aver compiuto una scelta pienamente politica, facendo sintesi di diverse linee di pensiero e assumendosene pubblicamente la responsabilità. Responsabilità che interpella anche i cittadini, perché proprio le riaperture esigono a maggior ragione che siano “osservati scrupolosamente” (ancora parole del premier) i comportamenti prudenziali indicati dalle autorità.
Non aiutano in questa direzione, purtroppo, quegli esponenti di partito che anche stavolta si sono dedicati a un inutile, anzi, dannoso esercizio propagandistico che si muove da tempo su due filoni. Il primo si esprime con la corsa ad attribuirsi i meriti di ogni decisione collegiale che si presume vada incontro ai desideri dell’opinione pubblica. Accade così tutte le volte che l’esecutivo prende un’iniziativa, anche soltanto di rilevanza settoriale. E’ quella campagna elettorale permanente che dalle elezioni del 2018 non ha più dato tregua alla politica italiana. Il secondo filone riguarda il giudizio sulle scelte del governo Draghi e il ricorso costante, quasi ossessivo, al criterio della continuità/discontinuità rispetto al governo precedente. Un’operazione tutta ideologica – in cui a onor del vero si distinguono anche molti opinionisti sui media – che a ben vedere fa un torto sia all’attuale premier che a Giuseppe Conte e che soprattutto non ha alcuna incidenza rispetto ai problemi reali del Paese.
Non aiuta, nel senso della responsabilità comune, anche l’utilizzo disinvolto e strumentale del termine “libertà” per commentare, in positivo o in negativo, i provvedimenti di contrasto alla pandemia. Ci dovrebbe essere un uso molto più sobrio, almeno nel discorso pubblico, di questa parola così impegnativa e ricca di implicazioni. La libertà – “lo maggior don che Dio per sua larghezza fesse creando”, per dirla con Dante – è un bene troppo importante per essere gettato nella mischia della polemica quotidiana. Ce lo ricorda, per stare alla sua dimensione politica, anche la festa della Liberazione celebrata quest’anno in un momento cruciale della vita del Paese. Una festa di tutti gli italiani ma che allo stesso tempo rimanda a quella scelta di campo fondamentale da cui è nata la nostra democrazia.
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