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I nostri anziani, memoria di un popolo

Non è accettabile la cultura dello scarto. Necessaria un’inchiesta su covid e certi ospizi

I nostri anziani, memoria di un popolo

Il bambino fa arrivare al custode del cimitero il foglietto con un grande cuore: la preghiera è di metterlo sulla bara della nonna, in mezzo ai fiori della mamma. Lui non ci sarà, come mancherà il sacerdote per la benedizione. Non è previsto neanche il funerale, perché il decreto impone regole ferree per bloccare la corsa del coronavirus. Gli affetti si trattengono nel silenzio. Al bambino rimane soltanto un groppo in gola per non aver rispettato le volontà dell’anziana donna più volte sussurrate al nipotino tra un racconto e l’altro. Ci teneva tanto ai conforti religiosi, invece l’addio sarà necessariamente sbrigativo. Si consumerà così un altro strappo crudele, dopo quello del periodo di malattia trascorso in solitudine, senza l’accompagnamento dei familiari, nella stanzetta dell’ospizio. Un altro distacco maturato brutalmente, una storia che si chiude in fretta. Resterà un libro, con la narrazione della vita vissuta, a cui viene a mancare l’ultima pagina. Troppi morti, tanti lutti ricordati nelle epigrafi, notizie in breve senza memoria. Questa è la parte più disumana della violenta epidemia, quella più dura da sopportare.
Forse ci si potrebbe consolare confrontando esperienze più crudeli. Almeno, in Italia, non si sono viste le fosse comuni usate per le sepolture negli Stati Uniti, considerati la culla della civiltà. Da noi non si è fatto ricorso più di tanto all’insensato ritornello che ha rappresentato gli anziani come persone “a perdere”, ingombranti in una società cinicamente utilitaristica. Parole dure come pietre: “Sarebbero crepati lo stesso a causa di altre patologie”. Vecchi utilizzati come numeri da dare in pasto alla burocrazia che non conosce il valore dei sentimenti. Non ci si può accontentare di aver contenuto il cinismo del linguaggio. L’emergenza sanitaria sta mettendo a nudo profondi buchi neri. Il bilancio di migliaia di morti sta a dimostrare che numerose case di riposo si sono trasformate in trappole, dove il contagio si è propagato senza freni. Gli anziani sono le vittime di una strage silenziosa, in strutture “di parcheggio” tanto decantate e pagate come residenze protette. Sicure. Si dovrà far luce su un fenomeno inquietante, spesso ancora sommerso. Qual è in Italia lo stato di salute degli ospizi? Conta più la logica ferrea del profitto o l’efficienza della rete socio-assistenziale? Come si misura il grado di umanità?
Si tratta di interrogativi incalzanti per un Paese che sta inesorabilmente invecchiando. Sono domande che servono a far luce su meccanismi farraginosi di gestione. Accanto a sistemi che funzionano, esiste una giungla di residenze e di servizi dove spesso mancano i controlli, anche quelli minimi. È sufficiente ricordare che sfugge persino all’ufficialità il numero delle strutture esistenti. Tant’è che, sparpagliate sul territorio, ci sono delle polveriere sociali pronte a esplodere sotto il peso delle emergenze. Manca il rispetto della dignità umana, che non può essere misurato semplicemente con l’età delle persone. “Occorre contrastare la cultura dello scarto – ammonisce Papa Francesco – perché gli anziani sono alberi che continuano a portare frutto. Costituiscono le radici e la memoria di un popolo”.

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