Elezioni comunali, vince il centrosinistra Perde il centrodestra, trionfa l’astensionismo
Affermazioni a Roma, Milano, Napoli e Torino. A Trieste Di Piazza si conferma su Russo
Sono due gli elementi che la tornata elettorale amministrativa consegna agli annali della politica italiana: l’affluenza alle urne più bassa di sempre e il macroscopico successo dei candidati del centro-sinistra, che tra primo e secondo turno vengono eletti alla guida di Roma, Milano, Napoli e Torino, vale a dire le quattro più grandi città del Paese (nonché di Bologna: solo Trieste, con la conferma del sindaco uscente di Forza Italia, evita al centro-destra il “cappotto” tra i sei capoluoghi di regione).
L’affermazione del centro-sinistra è andata ben oltre le previsioni e su questo non si possono fare sconti allo schieramento opposto, in una sfida che in virtù del sistema istituzionale ed elettorale dei Comuni ha riattivato la dinamica del bipolarismo. Il centro-destra ha evidentemente presentato candidati non all’altezza – confermando un grave problema di selezione della classe dirigente – ma non è stato neanche capace di intercettare gli umori reali del Paese, che non sono più quelli delle elezioni politiche del 2018, come dimostra anche l’affanno del M5S in quanto tale (almeno una parte dei suoi elettori, peraltro, ha sicuramente contribuito alla vittoria del centro-sinistra, con cui in alcuni casi ci sono stati accordi espliciti).
Dall’altra parte il Pd, al di là della legittima soddisfazione per un risultato che lo premia indiscutibilmente, prenderebbe un abbaglio letale se attribuisse a questa tornata elettorale il significato di un ribaltamento degli equilibri politici nazionali così come sono stati costantemente rilevati dai sondaggi degli ultimi mesi. Difficile non ricordare il clamoroso precedente del 1993, così spesso richiamato nei commenti sin dal primo turno di voto, quando all’exploit del Pds occhettiano nella prima elezione diretta dei sindaci fece seguito, l’anno successivo, il trionfo di Berlusconi alle politiche. Rispetto ad allora è cambiato il mondo, certo, ma in quasi tutti i grandi Paesi occidentali il voto dei centri urbani continua a sovrarappresentare le forze “progressiste” rispetto al totale degli elettori e per il centro-sinistra sarebbe da sprovveduti non tenerne conto. Tanto più di fronte a un bacino del non-voto che ha raggiunto un’ampiezza senza precedenti e che appare in tutta evidenza alimentato da elettori in fuga da altre forze politiche. Un astensionismo di queste proporzioni, però, è un problema di sistema, non solo di questo o di quel partito. Richiama la capacità della politica democratica di offrire risposte credibili ed efficaci anche nelle fasi di crisi. E in questa chiave interpella, sia pure in misura diversa, tutti i partiti.
Nell’impegnativo discorso all’università di Pisa, il presidente della Repubblica ha avuto parole forti per condannare il manifestarsi di “fenomeni, iniziative e atti di violenza, di aggressiva contestazione, quasi a voler ostacolare la ripresa che il Paese sta vivendo”, proprio nel momento in cui essa sembra vicina a un punto di svolta. Tali comportamenti, per fortuna, “si infrangono contro la determinazione, il senso di responsabilità, il senso civico dei nostri concittadini, della stragrande parte, della quasi totalità dei nostri concittadini”. Sta alle forze politiche, ognuna con la propria identità, decidere se dare voce in modo inequivoco a questa Italia che costruisce o se rincorrere le pulsioni irrazionali e particolaristiche che allargano le fratture sociali scavate dalla pandemia, nella fallace speranza di raccogliere qualche voto in più.
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