Draghi, una questione di fiducia
Un coro di voci ha chiesto al premier di restare per i bene del Paese: oggi, mercoledì 20, la giornata di verifica
Mentre questo numero de Il Popolo va in stampa (martedì 19 luglio) si sta consumando il giorno più lungo del Governo Draghi. Quando i lettori leggeranno queste nostre righe sapranno già l’esito di quello che noi, in questo momento, possiamo solo immaginare.
Il Premier è andato al Parlamento, prima al Senato e poi alle Camere, mercoledì 20 luglio. Ma è stato il giorno prima quello decisivo, quello in cui sono stati fatti gli ultimi tentativi per trovare una soluzione ad una crisi minacciata da più parti da diverso tempo, ma sulla quale, fino a un paio di settimane fa, pochi erano davvero pronti a scommettere.
Una crisi strana per motivazioni e tempistiche, ma che soprattutto non sappiamo come potrà evolversi e concludersi.
Potrebbe finire anche che gli italiani vengano chiamati a votare per eleggere il nuovo Parlamento ad inizio autunno. Sarebbe la prima volta.
<+nero>Cronaca dei giorni scorsi<+tondo> Il Movimento 5 Stelle da settimane minaccia di non votare questo o quel provvedimento. Stessa cosa - a dire il vero - fanno anche altre forze politiche. E il clima si fa sempre più complicato.
I grillini soffrono una prima scissione. L’ala governista rappresentata dal Ministro degli esteri, Luigi Di Maio, se ne va portandosi in dote una buona fetta di parlamentari pentastellati che formano un nuovo gruppo: Insieme per il futuro.
A guidare il Movimento rimane Giuseppe Conte che alza il tiro delle richieste al Governo. Vuole da Draghi garanzie su alcuni provvedimenti ritenuti simbolo dei grillini: reddito di citttadinanza e superbonus, ad esempio.
Draghi dà le garanzie richieste, ma lo fa a suo modo. Non accetta ricatti. Infondo non si è proposto lui come Premier. E’ stato chiamato in una situazione di difficoltà per il Paese. Fosse stato per lui, a gennaio, magari si sarebbe volentieri trasferito al Quirinale, ma i partiti non ce l’hanno mandato perchè ritenuto indispensabile per portare a termine le riforme necessarie ad ottenere i fondi del Pnrr, oltre che per gestire pandemia e poi la delicata situazione internazionale con la guerra in Ucraina ed annesse ripercussioni sul fronte energetico.
Le garanzie date però non bastano a Conte che ordina ai suoi senatori di non votare la fiducia posta dal Governo sul Dl Aiuti, dopo che i deputati pentastellati l’avevano invece votata soltanto poche ore prima alla Camera.
Il Governo incassa la fiducia, ma Draghi, da persona seria quale è, riconosce il dato politico e sale al Quirinale a riferire di non avere più il sostegno di tutti i partiti che compongono il suo Governo.
Mattarella lo invita a tornare alle Camere per verificare se il suo Governo dispone ancora di una fiducia per poter proseguire. Cosa che appunto Draghi fa mercoledì 20 luglio.
<+nero>Appelli<+tondo> I giorni precedenti sono un susseguirsi di incontri e appelli, tentativi di mediazione.
Oltre mille sindaci chiedono a Draghi di andare avanti per il bene del Paese. Stesso appello viene fatto da vari Governatori di Regione, così come dal mondo imprenditoriale e dalla società civile. Appelli a Draghi vengono lanciati anche sui social e raccolgono l’adesione di migliaia di semplici cittadini.
Ma Draghi deciderà in base alla fiducia che avrà dai partiti. Anzi, Draghi deciderà sulla base della fiducia che egli darà ai partiti.
<+nero>I partiti<+tondo> All’interno del Movimento 5 Stelle, mentre scriviamo, è in corso un altro psicodramma tanto che dopo la prima scissione ce ne potrebbe essere un’altra.
Il Pd chiede a Draghi di continuare, anche perchè quello che riteneva essere il suo alleato alle prossime elezioni (il M5s) si sta scigliendo come neve al sole.
Il centro, da Renzi a Calenda, chiede a Draghi di continuare senza i grillini. Analoga la posizione di Forza Italia che però, se si andasse ad elezioni, sarebbe schierata con Fratelli d’Italia e Lega.
La Meloni chiede con forza, e non da oggi, di andare al voto. Il suo partito è da sempre all’opposizione del Governo Draghi. I sondaggi la premiano ed è normale che non veda l’ora di andare all’incasso.
E poi c’è la Lega. In essa convive l’anima dei draghiani, rappresentata dai Governatori (Zaia, Fedriga, Fontana...) e la pancia di una certa base che gradirebbe andare a votare sentendo profumo di vittoria. Ma proprio il risultato delle elezioni, magari favorevole al centrodestra ma non premiante per la Lega (a vantaggio della Meloni) potrebbe frenare Salvini. Di certo poi una base dell’elettorato leghista non gradirebbe perdere i soldi del Pnrr e affrontare una campagna elettorale mentre il Paese avrebbe bisogno di provvedimenti utili a sistemare una situazione economica estremamente complicata, in cui il conto viene pagato da imprese e famiglie.
Chi brinda alle elezioni allora? Forse nemmeno i parlamentari del Movimento 5 Stelle. Forse nemmeno lo stesso Conte che, a detta di molti osservatori, sembra essersi infilato nel classico cul de sac. A conti fatti a brindare sembrano esserci soprattutto Putin e Medvedev che dopo aver visto la coalizione occidentale perdere per strada il Premier britannico, Boris Johnson, ora vedrebbero cadere un altro autorevole governante: Mario Draghi.
Una situazione molto ingarbugliata insomma. Mentre ne scriviamo, ipotizzare la via d’uscita risulta arduo. Fortunati i lettori che quando leggeranno i nostri ragionamenti sapranno già come la storia è andata a finire.
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