Assemblea sinodale: i temi
I problemi della Chiesa non sono innanzitutto la scarsità di clero e il mal funzionamento delle strutture pastorali, ma la mancanza di cristiani convinti e innamorati del vangelo di Gesù che chiede di poter diventare luce in ogni ambiente e in ogni situazione umana. Senza vangelo la vita può presto diventare triste e insignificante
Lo scorso 30 gennaio il Santo Padre, incontrando l’Ufficio Catechistico Nazionale, ha messo a fuoco alcuni elementi essenziali per l’annuncio del vangelo nel nostro tempo. Tali priorità sono state ben confermate dalla promulgazione della sua lettera apostolica dello scorso 11 maggio, con la quale istituisce il ministero del catechista.
La presa di posizione del Papa è il più alto riconoscimento che si poteva dare ad un servizio che non risulta più ausiliario al compito di insegnamento dei vescovi e dei preti, ma è essenziale per la vita stessa della Chiesa e per il compimento della vocazione cristiana.
Al centro c’è il vangelo di Gesù, che è la sua stessa persona. Cristo è un dono per tutti. Egli tutti chiama a seguirlo e a servirlo perché ciascuno, con i propri talenti, aiuti a comporre il corpo della sua Chiesa che nel mondo è chiamata ad essere segno concreto, visibile, efficace del suo amore per tutti gli uomini.
L’Assemblea sinodale che stiamo vivendo vuole mettere al centro dell’attenzione quattro temi fondamentali, senza che questi siano esclusivi di altri che potranno emergere dall’ampio confronto che faremo in questi mesi fino ad ottobre.
I primi due sono legati: essere Chiesa in uscita nel cambiamento d’epoca che stiamo vivendo e il battesimo come sorgente della fede. Anche gli ultimi due temi sono legati: si tratta delle scelte audaci da compiere per il rinnovamento di una pastorale integrata e un ripensamento dei ministeri ordinati e laicali a servizio della comunione nella vita della Chiesa. Gli ultimi due temi ci mettono di fronte alle sfide più immediate che siamo chiamati ad affrontare: numero di parrocchie, funzionamento delle unità pastorali, distribuzione del clero, corresponsabilità di tutti i battezzati alla edificazione della Chiesa. I primi due costituiscono la base indispensabile per fare le scelte più opportune. Infatti quale comunità cristiana e quale iniziativa pastorale possono mai realizzarsi se non si dà per presupposta la consapevolezza e il gioioso impegno nel vivere il proprio battesimo? E come poterlo vivere al meglio se risultiamo dei disadattati in un mondo che non riconosce più la presenza cristiana come importante? Accogliere il vangelo di Gesù chiede di essere molto attenti alla realtà. Essa è creata da Dio e chiede di essere conosciuta e amata. E più volte il Papa, a partire da Evangelii Gaudium, ricorda che la realtà è più grande dell’idea. Solo imparando a conoscere e ad amare la realtà nella quale si vive il vangelo di Gesù può diventare luce che sa dare valore a tutte le cose. Ma non vi è vangelo senza coloro che lo portano nel mondo con la propria testimonianza visibile e credibile. Perciò uno dei principali scopi del metodo sinodale è di rendere ciascuno consapevole del dono ricevuto nel battesimo, che ha aperto la possibilità di vivere la vita nella fede e nella grazia di Cristo. Consapevolezza che, una volta chiarita, diventa risposta libera e generosa alla chiamata di Cristo. I problemi della Chiesa non sono innanzitutto la scarsità di clero e il mal funzionamento delle strutture pastorali, ma la mancanza di cristiani convinti e innamorati del vangelo di Gesù che chiede di poter diventare luce in ogni ambiente e in ogni situazione umana. Senza vangelo la vita può presto diventare triste e insignificante. Senza la presenza di Gesù diventiamo più poveri di Dio e dell’uomo. Sì, dell’uomo. Di quella sua umanità bella, serena e riconciliata che sa donare forza nello sconforto e sa essere carità in mezzo alle ingiustizie e alle lotte fratricide. Viviamo l’assemblea sinodale partendo dal battesimo, non solo per dialogare e confrontarsi, ma per costruire qualcosa assieme, per riscoprire che gli uomini, chiamati da Dio a fare parte della medesima famiglia, possono dare il meglio di sé e possono diventare l’uno per l’altra immagine e riflesso di quell’amore eterno nel quale noi tutti siamo creati. In questo senso l’Assemblea diventa un momento di ascolto dello Spirito dove la vita, quella nostra, quella del nostro tempo, grazie all’impegno di ciascuno, diventa più facile da amare e da servire. Perché così sarà più vicina quella salvezza che Cristo è venuto a portare per tutti gli uomini.
Maurizio Girolami
Segretario generale
Parole guida dal Magistero di papa Francesco ai Catechisti
La catechesi è l’onda lunga della parola di Dio
orrei condividere tre punti che spero possano aiutarvi nei lavori dei prossimi anni.
Il primo: catechesi e kerygma. La catechesi è l’eco della Parola di Dio. Nella trasmissione della fede la Scrittura - come ricorda il Documento di Base - è "il Libro; non un sussidio, fosse pure il primo" (CEI, Il rinnovamento della catechesi, n. 107).
La catechesi è dunque l’onda lunga della Parola di Dio per trasmettere nella vita la gioia del Vangelo. Grazie alla narrazione della catechesi, la Sacra Scrittura diventa "l’ambiente" in cui sentirsi parte della medesima storia di salvezza, incontrando i primi testimoni della fede.
La catechesi è prendere per mano e accompagnare in questa storia. Suscita un cammino, in cui ciascuno trova un ritmo proprio, perché la vita cristiana non appiattisce né omologa, ma valorizza l’unicità di ogni figlio di Dio.
La catechesi è anche un percorso mistagogico, che avanza in costante dialogo con la liturgia, ambito in cui risplendono simboli che, senza imporsi, parlano alla vita e la segnano con l’impronta della grazia.
Il cuore del mistero è il kerygma, e il kerygma è una persona: Gesù Cristo.
La catechesi è uno spazio privilegiato per favorire l’incontro personale con Lui. Perciò va intessuta di relazioni personali.
Non c’è vera catechesi senza la testimonianza di uomini e donne in carne e ossa. Chi di noi non ricorda almeno uno dei suoi catechisti? Io lo ricordo: ricordo la suora che mi ha preparato alla prima Comunione e mi ha fatto tanto bene. I primi protagonisti della catechesi sono loro, messaggeri del Vangelo, spesso laici, che si mettono in gioco con generosità per condividere la bellezza di aver incontrato Gesù.
"Chi è il catechista? È colui che custodisce e alimenta la memoria di Dio; la custodisce in sé stesso - è un "memorioso" della storia della salvezza - e la sa risvegliare negli altri. È un cristiano che mette questa memoria al servizio dell’annuncio; non per farsi vedere, non per parlare di sé, ma per parlare di Dio, del suo amore, della sua fedeltà" (Omelia per la giornata dei catechisti nell’Anno della Fede, 29 settembre 2013).
Per fare questo, è bene ricordare "alcune caratteristiche dell’annuncio che oggi sono necessarie in ogni luogo: che esprima l’amore salvifico di Dio previo all’obbligazione morale e religiosa - tu sei amato, tu sei amata, questo è il primo, questa è la porta -, che non imponga la verità e che faccia appello alla libertà - come faceva Gesù -, che possieda qualche nota di gioia, stimolo, vitalità, e un’armoniosa completezza che non riduca la predicazione a poche dottrine a volte più filosofiche che evangeliche. Questo esige dall’evangelizzatore alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio - e quali sono queste disposizioni che ogni catechista deve avere? -: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna" (Esort. ap. Evangelii gaudium, 165). Gesù aveva questo. È l’intera geografia dell’umanità che il kerygma, bussola infallibile della fede, aiuta a esplorare.
E su questo punto - il catechista - riprendo una cosa che va detta anche ai genitori, ai nonni: la fede va trasmessa "in dialetto". Un catechista che non sa spiegare nel "dialetto" dei giovani, dei bambini, di coloro che… Ma con il dialetto non mi riferisco a quello linguistico, di cui l’Italia è tanto ricca, no, al dialetto della vicinanza, al dialetto che possa capire, al dialetto dell’intimità. A me tocca tanto quel passo dei Maccabei, dei sette fratelli (2 Mac 7). Per due o tre volte si dice che la mamma li sosteneva parlando loro in dialetto ["nella lingua dei padri"]. È importante: la vera fede va trasmessa in dialetto. I catechisti devono imparare a trasmetterla in dialetto, cioè quella lingua che viene dal cuore, che è nata, che è proprio la più familiare, la più vicina a tutti.
Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per quanto fate. Vi invito a continuare a pregare e a pensare con creatività a una catechesi centrata sul kerygma, che guardi al futuro delle nostre comunità, perché siano sempre più radicate nel Vangelo, comunità fraterne e inclusive. Vi benedico, vi accompagno. E voi, per favore, pregate per me, ne ho bisogno. Grazie!
Dal discorso del Santo Padre
Francesco ai partecipanti all’incontro
promosso dall’Ufficio catechistico
nazionale della Cei, 30 gennaio 2021
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