Attualità
stampa

"Coronavirus? La fame fa più paura" Fare progetti dove il pil è di 400 dollari l’anno

Testimonianza di Alessandro Perrone, 27 anni, cooperante da Pordenone nella Repubblica Centrafricana

"Coronavirus? La fame fa più paura" Fare progetti dove il pil è di 400 dollari l’anno

Giù, ancora più giù. Nelle ultime posizioni delle classifiche c’è la Repubblica Centrafricana. Sta proprio alla fine del mondo per parametri economici e di sicurezza. È ultima nell’indice di sviluppo. In quel punto al centro del Continente nero la vita vale poco più di niente, a causa di frequenti colpi di stato, di violenze di matrice etnico-religiosa, di mancato riconoscimento dei diritti umani. Ma almeno le comunicazioni sono buone. Alessandro Perrone dà così notizie di sé dalla capitale Bangui, dove lavora da sei mesi. È pordenonese, ventisettenne, cooperante della ong Medici con l’Africa Cuamm per la quale amministra un progetto sanitario. È rimasto in prima linea nonostante il coronavirus: “La situazione è critica, ma la popolazione è abituata a vivere in emergenza. Non esistono terapie intensive. Il Paese, che conta quasi cinque milioni di abitanti, nonostante abbia una superficie doppia di quella italiana, dispone soltanto di tre respiratori. Ma il virus passa quasi in secondo piano rispetto al lockdown, imposto con il coprifuoco, che provoca problemi di approvvigionamento dei beni di prima necessità. La fame fa più paura”.
Alessandro ha voluto sperimentare sul campo quanto appreso lungo il percorso scolastico, che si è concluso con una laurea triennale in Scienze sociologiche, conseguita a Padova, e un titolo magistrale in Cooperazione internazionale ottenuto all’Università Cattolica di Milano. I problemi vanno affrontati, mai scansati: questo è il suo motto. Da studente, la prima sfida è stata quella delle migrazioni, “che è un fenomeno da governare – ci tiene a precisare – e non certo un problema”. È scattata così un’attrazione fatale verso le persone più svantaggiate. L’impegno precoce nell’associazionismo gli ha permesso di mescolare subito la teoria con la pratica, sempre nel rispetto dei principi di uguaglianza e di equità, con particolare interesse alla situazione geopolitica delle aree più delicate del mondo. Chissà se il padre Giuseppe, colonnello ora in pensione, a lungo portavoce del contingente della missione a Nassiriya, avrà esercitato qualche influenza sul figlio? Alessandro taglia corto: “I miei genitori mi hanno sempre incoraggiato a scegliere con la mia testa”.
Ha mosso i primi passi in una cooperativa sociale di aiuto ai richiedenti asilo: “Non si possono cacciare, o maltrattare, delle persone che esercitano il sacrosanto diritto di spostarsi per motivi umanitari, o economici. Basterebbe poco per restare umani”. Quando sente il peso delle ingiustizie, aumenta l’azione. Così, per approfondire i progetti sulle migrazioni, Alessandro ha deciso per fare un’esperienza di servizio volontario civile in Marocco, in modo da lavorare su obiettivi strategici, curandone gli aspetti amministrativi perché le idee devono trovare delle basi concrete. Siamo tutti sulla stessa barca alla ricerca di un destino migliore, se non altro di pace: questo è un principio di “fratellanza universale” a cui ci tiene. Alla richiesta di una sua foto di ambiente, da persona riservata fa capire che ne ha poche. Dopo alcune ore, ne arriva una via WhatsApp. Alessandro indossa una “t-shirt” con la scritta: “Io sono straniero”. Il messaggio è perentorio: “Non ne ho altre. Qui a Bangui è rischioso scattare fotografie”. Si coglie la situazione in cui vive: l’atmosfera è pesante, numerose sono le zone off limits. Inaccessibili.
L’Africa esercita su di lui un fascino particolare. Mentre frequentava l’università, decise di svolgere un periodo di volontariato in Tanzania, poi ritornò in quei luoghi per dedicarsi alla stesura della tesi. Sta maturando in Africa l’anima del suo impegno professionale. “È un continente martoriato da guerre, epidemie, carestie. Sicuramente è il posto – spiega Alessandro – dove poter meglio applicare quella che definisco la mia militanza sociale”. Non ha nessuna illusione di cambiare il mondo. Anzi, ribalta subito la provocazione con una chiamata alla responsabilità, che da impegno individuale diventa azione collettiva. Come? “Voglio fare la mia parte con coerenza. Io, che appartengo a quelli che hanno di più, cerco di dare qualcosa a coloro che hanno poco, o nulla, senza un apparente motivo”.
Lungo il percorso ha incrociato il Cuamm, un’organizzazione che da settant’anni opera nelle aree più povere dell’Africa subsahariana, accanto alle comunità locali senza logiche di prevaricazione. I valori di sensibilità, dialogo e confronto hanno incoraggiato Alessandro alla sfida più delicata, quella di cominciare la professione di cooperante internazionale dal posto più difficile, dove le disuguaglianze sono profonde. Le sue riflessioni aiutano a capire qualcosa di più di un Paese fuori dalle rotte degli interessi mediatici. Il Pil pro capite della Repubblica Centrafricana non raggiunge i 400 dollari all’anno. Ci sono tremendi problemi di malnutrizione. In un Paese giovanissimo, due bambini su tre hanno bisogno di assistenza umanitaria. E le piaghe sociali sono aggravate dalla situazione geopolitica resa incandescente dalla ricchezza del sottosuolo: petrolio, diamanti, oro e uranio. Un paradosso. D’altra parte, gli assetti istituzionali fragili scatenano gli appetiti esterni: Cina, Russia, Stati Uniti, Francia (che esercita vecchie influenze coloniali). Alessandro lascia trasparire il suo pessimismo: “Le speranze di pace resteranno scarse finché il gioco delle parti non metterà al primo posto le esigenze della popolazione”.
La Repubblica Centrafricana costituisce un fronte importante per la stabilizzazione di un pezzo di Continente. Ma c’è tanto da lavorare. La situazione drammatica ha commosso Papa Francesco in occasione di un viaggio pastorale, tanto da incoraggiare l’ospedale “Bambino Gesù” di Roma a interventi efficaci. Vista la sua presenza in Africa, è stato coinvolto anche il Cuamm, il quale non si è tirato indietro. La strategia è di ridurre la mortalità di donne e bambini che è tra le più elevate al mondo. I progetti partono dalla riorganizzazione della struttura pediatrica di Bangui con l’obiettivo di creare delle reti sanitarie nelle aree rurali, dove i bisogni sono ancora più gravi. In questo disegno, Alessandro può contribuire a mettere il suo mattoncino di solidarietà.

"Coronavirus? La fame fa più paura" Fare progetti dove il pil è di 400 dollari l’anno
  • Attualmente 0 su 5 Stelle.
  • 1
  • 2
  • 3
  • 4
  • 5
Votazione: 0/5 (0 somma dei voti)

Grazie per il tuo voto!

Hai già votato per questa pagina, puoi votarla solo una volta!

Il tuo voto è cambiato, grazie mille!

Log in o crea un account per votare questa pagina.

Non sei abilitato all'invio del commento.

Effettua il Login per poter inviare un commento